CRISI DELLA NATALITA': PAESE IN RECESSIONE DEMOGRAFICA
Crisi della natalità: Paese in “recessione demografica”
Cari fedeli, da un articolo di Giuliano Guzzo, riprendo le considerazioni che vi propongo. Al di là dei dati economici e occupazionali, ciò che più colpisce delle 300 pagine del Rapporto annuale 2019 dell'Istat, presentato in questi giorni dal presidente Gian Carlo Blangiardo, sono le prospettive demografiche del nostro Paese, che rischia di spopolarsi.
La «recessione demografica» risulta rilevata già dal 2015 in modo significativo. Eppure, ci dice l’Istat, non tarda a rallentare, facendo registrare «un vero e proprio calo numerico di cui si ha memoria nella storia d'Italia solo risalendo al lontano biennio 1917-1918». Il problema è che nel Novecento, in quegli anni, il nostro Paese era stato flagellato dalla Grande Guerra e dai successivi drammatici effetti dell'epidemia di "Spagnola", mentre oggi nulla di simile, apparentemente, sembra verificarsi. Si è passati dalle 576.000 nascite nel 2008 alle circa 450.000 nel 2018 - riduzione a cui si è accompagnato, come se non bastasse, un continuo aumento di decessi legati all’invecchiamento della popolazione, aumento che nel 2017 ha toccato il suo apice con 649.000 morti. Completa questo cupo quadro una sottolineatura che l’Istat pone in evidenza, ossia il fatto che l’immigrazione non può porre rimedio a tutto ciò. Per due motivi. Il primo è che nel nostro Paese gli immigrati arrivano in numero crescente da decenni, senza che ciò, demograficamente parlando, abbia determinato alcuna inversione di tendenza; il secondo consiste nel fatto che l’effetto che pur intensi flussi migratori hanno finora avuto è solo stato quello di attutire la denatalità. Decisamente troppo poco. L’Italia ha dunque ancora qualche speranza o è destinata a estinguersi? È una domanda di certo scomoda ma, a questo punto, non più evitabile. Diciamo che ci sono dati che, in aggiunta a quelli già esposti, fanno immaginare che la nostra penisola potrebbe un giorno non così lontano davvero trovarsi in crisi, primo fra tutti quello secondo cui il 45% delle donne tra i 18 e i 49 anni non ha ancora avuto figli. Accanto a questo numero spaventoso, c’è però ancora, tra le pieghe delle statistiche Istat, qualcosa che fa sperare. Ci riferiamo a quella parte di italiani che dichiara che l’avere figli non rientra nel loro progetto di vita. Sono meno del 5%. Questo significa che oltre il 95% del popolo italiano, sia pure con sfumature differenti, considera la realizzazione di una famiglia come un progetto valido. Ed è da questo numero, da questo 95%, che occorre ripartire. Come? Anzitutto rilanciando la famiglia come modello culturale, senza aspettarsi troppo da aiuti economici e bonus che pure sarebbe ora che le istituzioni iniziassero a stanziare alle giovani coppie. In questi giorni, ad esempio, il ministro della Famiglia, commentando i dati Istat, ha ribadito la volontà di presentare a breve una riforma completa dell'assegno familiare. Ma la «recessione demografica» non è dovuta a quella economica, occorre tenerlo ben presente. Perché il problema, urge ripeterlo, è culturale e ancor prima spirituale e origina da un’Italia che non ha fiducia nel futuro perché ha smesso, da tempo purtroppo, in significativa percentuale, di avere fede. Tanto è vero che le famiglie più numerose sono, come i sociologi sanno da tempo, quelle più religiose. Ora, sapranno i cattolici, e ancor prima noi pastori e operatori pastorali, evidenziare questa verità fondamentale? Per questo la nostra parrocchia è chiamata ad esercitare un’opera di sensibilizzazioni anche in questo senso, trovando le forme e i tempi.