Omelia del parroco nella Messa del 31 dicembre 2020 col Te Deum

  • 31/12/2020
  • Don Gabriele

Abbiano ascoltato nella seconda lettura, tratta dalla lettera di S. Paolo agli Efesini: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto legge”.

In questa brevissima frase è contenuto un modo nuovo di considerare il tempo: esso non è più un divenire che macina fatti e vite umane con cinica indifferenza, ma luogo in cui anche l’Eterno ha voluto essere attore di una storia umana con una nascita, un percorso, una morte, esattamente come tutti gli umani, svelandoci nella risurrezione, il nostro destino di gioia. Così Egli ci ha detto che ogni storia umana è degna di nota e ogni percorso umano è da considerare per se stesso, nella propria unicità e irripetibilità. I mesi che abbiamo trascorso possono avere generato il pensiero che ciascuno di noi non valga poi molto: le angosciose giornate di febbraio, marzo ed aprile hanno messo a dura prova le nostre convinzioni circa l’importanza di ciascuna persona, perché il rapido tramonto di tanti fratelli e sorelle, o le lunghe ed estenuanti degenze in ospedale, così come le difficoltà ad avere notizie sui nostri cari possono averci ricordato le parole di un salmo: “Che cosa è un uomo perché tu te ne curi, un figlio d’uomo perché tu ne dia pensiero? L’uomo è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa”. Sì, in questo anno abbiamo sperimentato davvero la prova, che ha assunto la forma della paura, del dolore, della fatica, della rabbia, del rancore anche verso l’ Altissimo. Come ho scritto sul Notiziario parrocchiale: “Se non fossimo cristiani potremmo credere ad un Demiurgo, una sorta di semi-dio dall’animo cattivo, che si è accanito contro di noi”. In questo modo corriamo il rischio di pensare che questo anno in fondo non ci abbia portato nulla di buono, che vada perciò archiviato il più presto possibile, sperando che l’anno nuovo sia migliore.

Ma come la mettiamo con la parola della fede, che abbiano poc’anzi ascoltato, in base alla quale, con l’incarnazione di Cristo il tempo è stato riempito, cioè santificato? Questa considerazione frena il nostro impellente desiderio di buttarsi alle spalle questo anno come qualcosa di solo negativo. Allora ci facciamo un po’ più pensosi e riflettiamo su alcune dimensioni che quest’anno ha posto dinanzi ai nostri occhi. La prima di queste è quella che chiamiamo “globalizzazione”. Il mondo è diventato davvero un “villaggio” se nel giro di così poco tempo un’infezione che si è manifestata in una zona del pianeta si è potuta diffondere così rapidamente e universalmente. L’espressione “la famiglia umana” ha perso il suo sentore retorico e ci siamo riscoperti molto più prossimi di quanto potevamo pensare. Pare quasi che la nostra difficoltà nel considerarci “tutti fratelli”, a motivo dei vari steccati eretti da noi, si sia dovuta superare per forza di fronte a questo fatto che ci ha accomunati tutti. Non abbiamo voluto credere alla parola di Cristo, che facendosi uomo – come dice il Concilio – si è unito in certo qual modo ad ogni uomo, e perciò è fratello di tutti e in lui siamo tutti fratelli, e ci siamo dovuti rendere conto che è davvero così. Forse non avevano messo in conto che la globalizzazione da cui alcuni pensavano di trarre solo dei vantaggi economici, ci avrebbe costretto a rivedere i nostri parametri antropologici. Questa umanità che soffre per lo stesso motivo ci ha restituito una prossimità che forse non avevano mai sperimentato in questa maniera così forte.

La seconda considerazione che pongo alla vostra attenzione è quella della “compassione”. Cristo, entrando nel tempo, ha condiviso la nostra fatica e i nostri dolori e ci spinge a fare altrettanto con i nostri fratelli. Sotto questo profilo mi pare di aver colto – e qui ora mi riferisco alla nostra comunità – un senso di profonda compassione, nel senso etimologico della parola: quello cioè di “patire con; patire insieme”. Ho percepito come una catena invisibile, ma reale, che ha tenuto insieme la nostra comunità attorno ai fratelli e alle sorelle che sono morti, a quelli che si erano ammalati e alle loro famiglie. In quei giorni, sia pure chiusi in casa, nessuno ha vissuto per se stesso, ma abbiano messo il cuore vicino al cuore degli altri: questo fatto che si può chiamare anche la “comunione dei santi” della Chiesa ancora pellegrina sulla terra, ci ha fatto sentire più intimamente di essere una comunità. E ha realizzato una comunione che è passata attraverso la compassione: essa, circolando in modo invisibile ma reale, ha sostenuto molti, senza che sapessero di essere sostenuti; ha accompagnato coloro che si sono spenti, ha sorretto coloro che sono rimasti. Questa “compassione” si è espressa anche nei molteplici gesti di solidarietà da parte di molti: gesti quotidiani e gesti straordinari.

La terza considerazione riguarda l’intensificazione della vita di preghiera, anche nella sua dimensione domestica. E’ vero che per alcuni la spinta è stata dettata dalla paura, quindi da un’emozione, passata la quale anche la preghiera si è spenta. In ogni caso questo fatto, una più intensa vita spirituale, è successo realmente e non possiamo non tenerne conto; in un mondo così distante da Dio ancora una volta è emerso in maniera impetuosa il bisogno del trascendente, che sembra così poco interessare una massa sempre più grande di persone.

Mi fermo a queste sole tre considerazioni: la globalizzazione della fraternità, la “compassione”, una certa riscoperta del fatto religioso. Di queste tre realtà – insieme ad altre che il tempo non mi permette di sottolineare – dobbiamo certamente rendere grazie.

Non possiamo dimenticare poi la vita della comunità cristiana nel suo cammino storico.

Così rendiamo grazie per i 16 bambini/e rinati a vita nuova nel battesimo: Rendiamo grazie per le due coppie che si sono unite in matrimonio e siamo vicini a coloro che hanno dovuto rinviarlo. Affidiamo nuovamente al Signore i 120 fratelli e sorelle che ci hanno preceduto nel pellegrinaggio della vita e lo ringraziamo perché non li ha abbandonati.

Quanto alla situazione economica, vi rendo noto che il debito residuo, consistente nel mutuo che si estinguerà nel 2026, con rata mensile di 2.227 euro, è pari a 140.794 euro. In questo anno abbiamo avuto un recupero pari a 22.920 euro.

Nell’anno che si chiude abbiamo devoluto la somma di 9.675,00 euro a favore di giornate diocesane e nazionali, a cui si devono aggiungere circa 8.000,00 euro per l’iniziativa “Tetto solidale”. La diocesi ha erogato alla nostra parrocchia per l’emergenza Covid 9.735 euro.

Ci accostiamo ora all’altare per l’Eucaristia: il rendimento di grazie si prolungherà nel Te Deum. Chiediamo a Maria di darci il suo spirito, perché la nostra lode sia gradita al Signore.

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