Omelia del parroco la notte di Natale
Cari fratelli e sorelle, che avete varcato le porte di questa nostra chiesa parrocchiale per celebrare il Natale del Signore, cari confratelli con cui porto con gioia il “peso e la gloria” di questo popolo, cari collaboratori di tutti i settori della vita parrocchiale, cari amici.
In ogni angolo della terra ove è risuonato l’annunzio del Vangelo, questa notte gli sguardi di tutti sono rivolti ad un Bambino. "Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia (Lc 2,11s). Così abbiamo ascoltato dal vangelo di Luca.
Questo annuncio risuona in maniera diversa, a seconda dello stato in cui si trovano i nostri cuori rispetto a questo Bambino. C’è la risonanza nel cuore di chi ha il dono della fede. C’è la risonanza nel cuore di chi sente il bisogno di una parola che venga dall’alto, perché non è chiuso alla dimensione trascendente, anche se non è in grado di definire i contorni della propria fede. C’è la risonanza nel cuore di chi è venuto qui questa sera per accondiscendere al desiderio di un altro sia questi la moglie, il marito, il figlio, la madre, il padre, la fidanzata, il fidanzato. C’è la risonanza nel cuor di chi è presente questa sera per tradizione.
A tutti noi è dato il segno di un Bambino.
Soltanto un Bambino avvolto in fasce che, come tutti i bambini, ha bisogno delle cure materne; un bambino che è nato in una stalla e perciò giace non in una culla, ma in una mangiatoia. Il segno di Dio è il Bambino nel suo bisogno di aiuto e nella sua povertà. Soltanto col cuore i pastori potranno vedere che in questo bambino è diventata realtà la promessa del profeta Isaia, che abbiamo ascoltato nella prima lettura: "Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità" (Is 9,5).
Ripeto: anche a noi non è stato dato un segno diverso. L'angelo di Dio, mediante il messaggio del Vangelo, invita anche noi ad incamminarci col cuore per vedere il Bambino che giace nella mangiatoia.
Come ai pastori, così anche a noi se vogliamo accogliere la grazia del Natale è chiesto di collegare gli occhi al cuore. Ma quali occhi? E quale cuore?
Lo abbiamo appreso da questo bambino stesso diventato uomo: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”.
Qui è racchiusa l’esperienza spirituale del Natale. Il cuore puro che vede Dio in quel Bambino. Non per nulla la rappresentazione della nascita di Gesù attraverso il presepio, dove è coinvolto anche il senso della vista, è nato da uno dei cuori più puri della cristianità: San Francesco d’Assisi.
Ma – chiediamoci – come si fa a purificare lo sguardo affinché sia possibile vedere Dio in quel Bambino?
L’apostolo Pietro, negli Atti degli Apostolici ha detto che Dio purifica i cuori con la fede (cf Atti 15,9). Sant’Agostino commenta: “Ma in che modo lo vedrò? Ti risponde il Vangelo: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio. Se dunque son beati i puri di cuore, perché vedranno Dio, noi che abbiamo il cuore non puro perché appesantito dal peccato, cosa faremo? Con quale mezzo purificheremo il nostro occhio interiore per vedere il volto del nostro Dio? Con quale mezzo lo purificheremo?
Anche questo l'hai nella Scrittura: Purificando con la fede i loro cuori. (…). Hai guardato dentro di te e hai trovato una certa impurità del cuore. Desiderando di vedere Dio e ascoltando che lo si vede soltanto con il cuore puro, tu acceso dal desiderio di vederlo, cerchi ovviamente di purificare il tuo cuore. Ma come lo purificherai? Volgi l'attenzione a chi dice negli Atti [degli Apostoli]: Purificando con la fede i loro cuori. (…).. Dunque prima di vedere credi, affinché, giunto alla visione, possa godere”. (Discorso 360/b).
Dunque per vedere Dio in quel Bambino dobbiamo purificare i nostri cuori con la fede. San Tommaso d’Aquino, nella Summa, aggiunge però qualcos’altro, affinché la purificazione del cuore sia più profonda e l’occhio possa vedere meglio. Dice : “la fede è la causa o il principio primo della purificazione del cuore” e aggiunge: “se è informata dalla carità produce una purificazione completa”. Dunque per vedere Dio nel Bambino di Betlemme il cuore deve essere purificato dalla fede e dall’amore.
Per capire bene, però, è necessario avere degli esempi. Torniamo, allora, a San Francesco d’Assisi e precisamente al momento in cui, tre anni prima di morire volle celebrare il Natale a Greccio. “Se vuoi che celebriamo a Greccio l’imminente festa del Signore, precedimi – dice San Francesco ad uno dei suoi frati – e prepara quanto ti dico: vorrei far memoria di quel Bambino che è nato a Betlemme, e in qualche modo intravedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato; come fu adagiato in una mangiatoia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello (1 Celano, XXX, 84).
Francesco non ha inteso quindi fare una semplice rappresentazione; egli vuole fare piuttosto memoria di ciò che è successo la notte di Natale per intravedere con gli occhi del corpo il mistero che viene rivelato.
Francesco circonda con un amore immenso il mistero della nascita del Figlio di Dio. Scrive il suo biografo: “Al di sopra di tutte le altre solennità celebrava con ineffabile premura il Natale del Bambino Gesù, e chiamava feste delle feste il n in cui Dio, fatto piccolo infante, aveva succhiato ad un seno umano. Baciava con trasporto le immagini di quelle membra infantili, e la compassione del Bambino, riversandosi nel cuore, gli faceva anche balbettare parole di dolcezza alla maniera dei bambini” (2 Celano, CLI, 199-200).
Vediamo dunque come il cammino di S. Francesco passa per il cuore: la sua fede vuole vedere, il vedere nella fede diventa un toccare per vivere un’assimilazione più piena. Toccando giunge alla contemplazione, che a sua volta aumenta la fede e feconda l’amore.
Francesco poi, per la notte di Greccio, fa una richiesta singolare al Papa. Lo ricorda S. Bonaventura, suo successore. Chiede il permesso e, fatto molto raro lo ottiene, di far celebrare l’Eucaristia su un altare portatile. Infatti, dopo che Francesco, indossati gli abiti liturgici, ha cantato il Vangelo, essendo diacono, e ha rievocato il mistero della nascita del Salvatore parlando ai fedeli, (cf 1Celano, XXX, 86), “viene celebrato sulla mangiatoia il solenne rito della Messa e il sacerdote – annota il biografo di S. Francesco – assapora una consolazione mai gustata prima” (l.c., XXX, 85). “E’ evidente che a Greccio il sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo prende il posto che nei nostri presepi siamo abituati a vedere occupato dalla statua di Gesù bambino: l’Eucaristia è il ripetersi attuale dell’Incarnazione, e Francesco può vedere con gli occhi del corpo il Signore Gesù nell’Eucaristia come i pastori lo poterono vedere nella grotta di Betlemme” (C. Vaiani, Vedere e credere, p. 140). Nulla più dell’Eucaristia celebrata in quel contesto poteva far fare memoria a Francesco e fargli intravedere con gli occhi del corpo quanto è avvenuto a Betlemme, ma soprattutto, attraverso la comunione Eucaristica metterlo in comunione con quel Bambino di Betlemme, come lui lo chiamava.
Ecco, cari fratelli e sorelle, delineato anche per noi, questa notte, sulla scorta dell’esperienza di san Francesco, l’itinerario di fede e di amore per accedere alla realtà del Natale. Solo attraverso la fede e l’amore, che purificano il cuore, ci è possibile vedere veramente. Solo vincendo grazie alla parola del Vangelo l’incredulità e la durezza del cuore si può vedere. Se si “vede” si gioisce, anche tra le lacrime, perché sono le stesse che ha sparso il Bambino, che oggi è il Signore glorioso, che ci stringe a sé nel sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, che fa di noi le sue membra, grazie al Battesimo, che ci ha dato una dimora, dove Egli ha stabilito di dimorare: la sua Santa Chiesa, che ci manda a coloro che sono le sue immagini, cioè ogni uomo e ogni donna, soprattutto quelli che la vita ha provato.
San Francesco voleva che il giorno di Natale i ricchi condividessero i lori beni con chi ne era privo, chiedeva addirittura che ai buoi e agli asini si desse doppia razione di foraggio, desiderava che fossero sparse granaglie per le strade affinché gli uccelli del cielo potessero sfamarsi (cf “ Celano, CLI, 199-200).
Chi “vede” sa che c’è speranza, chi vede già pregusta e affrettando il cammino dà il giusto valore ad ogni cosa.
E’ l’augurio che ci facciamo questa notte: che possiamo intravedere con gli occhi del corpo ciò che celebriamo, e nel santo silenzio di questa notte resa luminosa, ricevendo l’Ostia santa, entriamo in comunione con Colui che i cieli dei cieli non possono contenere, ma che per amore nostro si è fatto piccolo Bambino, che tende verso di noi le sue braccia e chiede di essere accolto con amore. Amen