Omelia del parroco- esequie di Francesco Piloni - "Uno sguardo penetrante"

  • 10/05/2018
  • Don Gabriele

1. Quasi in punta di piedi e con molto rispetto per quanti sono così duramente provati dalla morte di Francesco, come pastore di questa comunità rivolgo una parola che intende esprimere la consolazione che viene dalla fede e cerca di restituire la virtù della speranza anche in questo momento che nessuno di noi avrebbe mai voluto vivere.

Martedì sera, quando mi sono recato a casa di Francesco, tradito da poco dal suo cuore, più di uno – guardandomi – mi ha chiesto: “Perché”. L’altra sera come oggi, io non ho risposte. Non conosco il “perché”. Io non so rispondere a questa domanda.

Posso però dire – con umile confidenza – che Francesco non va cercato tra i morti, come abbiamo sentito nel Vangelo. Il suo posto non è tra i morti. Certo è un paradosso quello che ho detto: abbiamo visto il suo corpo senza vita, lo abbiamo sentito gradualmente raffreddarsi: come è possibile dire che Francesco non è tra morti? Sì, è un paradosso, ma – come sappiamo “paradosso” non significa “contraddizione”, significa piuttosto “al di là” – “para” – dell’ “ovvio” – “doxa”.

La morte di questo giovane ci costringe – se non vogliamo restare inceppati nella cappa di dolore di questi giorni – ci costringe a spingere lo sguardo più in profondità, là, dove la vita “non è tolta ma trasformata”. Andare oltre l’ovvio, andare oltre ciò che appare è tipico di chi ama. Solo chi capisce le ragioni dell’amore va oltre l’ovvio, va oltre ciò che appare. Purtroppo il materialismo e lo smodato attaccamento alle cose che passano ci ha resi quasi incapaci di “andare oltre”, ha anestetizzato in noi “lo sguardo penetrante” e ci ha fatti diventare miopi. Penso soprattutto ai tanti giovani che in questi giorni hanno fatto visita a Francesco e che sono presenti anche oggi. Cari giovani, come vivete voi questo momento? Certo: incredulità, sgomento, dolore, rabbia, ribellione, rassegnazione … sono tutte emozioni e sentimenti giustificati. Ma non potete fermarvi lì: fermarvi a questi stati d’animo significa aver perso Francesco per sempre.

E’ lo “lo sguardo penetrante” che va “oltre l’ovvio” che ci restituisce la comunione con lui, che fa sì che egli davvero per te papà, per te mamma, per te Marta, per voi suoi amici egli non sia morto. Ed è sempre questo “sguardo penetrante” che fa sì che Francesco continui ad essere considerato non colui che fu figlio, che fu fratello, che fu amico; ma che continua ad essere figlio, fratello, amico. La morte non ha spezzato questi vincoli: essi sono intatti, e come intatti vanno conservati.

2. Ma chi ci garantisce che questo “sguardo penetrante” non sia solo una “pia illusione”, non sia semplicemente un’operazione psicologica e di fantasia? Ce lo garantisce la parola della fede, alla quale – magari con fatica, con dolore, con contestazione – non possiamo non aprirci. E questa parola della fede ci ha detto nella prima lettura: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada (cioè la morte)? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso – dice l’apostolo Paolo – che né morte né vita … né presente né avvenire … potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù nostro Signore”.

La parola della fede ci dice che non c’è separazione dall’amore ed è l’amore di Dio che ha accolto e custodisce Francesco, tradito dal suo cuore, ma non da Dio. Ed è questo amore che accoglierà e custodirà anche noi un giorno con Francesco e tutti coloro che abbiamo amati. Solo ci è chiesto di dire di “sì” alla parola della fede; di dire cioè, con umiltà – e come la cosa più sensata che possiamo fare in questo momento – “sì, o Signore: io credo e mi affido a te”. Questo “sì” della fede che noi diciamo a Dio è refrigerio anche per Francesco. Lasciamo che goda della gioia piena, senza l’ombra di saperci disperati.

Lo “sguardo penetrante” è frutto della fede in colui che ha sperimentato in se stesso la morte, come ogni uomo e ogni donna, Gesù, per trasferirci fin da ora, grazie alla nostra unione con lui nel battesimo, nelle regioni della resurrezione.

3. Con questo “sguardo penetrante” affidiamo Francesco a Gesù. Egli gli ha preso la mano martedì sera, quando doveva attraversare la valle oscura, in cui nessuno poteva accompagnarlo. Possiamo immaginare quando gli occhi scuri, ma ormai luminosi di Francesco, si saranno persi negli occhi del Signore. Il Signore Gesù, che egli aveva imparato a conoscere ricevendo i sacramenti, frequentando regolarmente – e bene – la catechesi fino alla quarta superiore, partecipando ai campi scuola giovanissimi, prestandosi a fare l’animatore del Grest. Il Signore Gesù, che lo ha reso vincitore, superando le difficoltà che ha incontrato vivendo, che gli è stato vicino nell’impegno e nella tenacia per farcela. I suoi progetti, adesso che aveva trovato il lavoro, a cui si dedicava con determinazione da più di un anno, erano quelli di farsi una casa, una famiglia. Desideri belli, puliti. Ma non si dica – non si deve dire – che tutto questo impegno è stato inutile. Una vita, i sogni belli, l’impegno, la tenacia non sono mai inutili: non lo sono stati per Francesco, che ci ha creduto; non lo sono per voi familiari che lo avete sostenuto e incoraggiato; non lo sono per voi, suoi amici, perché vi ha dato un esempio. Una vita breve non vale di meno di una vita lunga, perché la vita di questo giovane ci parla e ci sprona.

4. Mentre scrivevo questa omelia, mi sono tenuto a fianco la foto di Francesco, molto bella, perché mi aiutasse a mettere giù questi pensieri. Il suo volto intenso e serio ora è trasfigurato nella gloria come quello di Cristo: non cercatelo tra i morti, egli vive, come un giorno anche noi vivremo. Questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa, con la quale ora saliamo all’altare per offrire il sacrificio redentore di Cristo per Francesco, perché abbia pace e gioia nell’attesa dell’incontro, nella consistenza piena dell’amore.

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