Omelia del parroco per la Missa in Coena Domini - La sproporzione dell'amore
Giovedì Santo – Missa in Coena Domini – Castiglione 29 marzo 2018
1. Cari fratelli e sorelle,
con questa celebrazione iniziamo il Triduo Pasquale, ossia la Pasqua celebrata in tre giorni.
Possiamo dire che essa è caratterizzata da tre notti: questa, quella di venerdì e quella di sabato. Ciascuna di queste notti possiede una sua peculiarità. Possiamo chiamare questa che ora celebriamo la “notte dell’amore e del tradimento”; quella di domani la “notte del dolore”; quella di domenica la “notte della gloria”.
2. Notte dell’amore e del tradimento.
E’ il vangelo di Giovanni che ci introduce in essa. “Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1). Il vangelo ci dice che Gesù sa che è alla fine, deve fare Pasqua, cioè passare al Padre. E sa che dovrà passare al Padre attraverso la strettoia della croce. Ma l’amore per i “suoi” in questo momento ha il sopravvento: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine”. Queste parole sono come uno squarcio sulla vita intima del Signore e ci rivelano che la quintessenza della relazione fra Gesù e i “suoi” è stato il suo amore. Ed è un amore “fino alla fine”, cioè un amore totale, che tocca il fondo, non si ferma prima di aver raggiunto questo fondo, pur sapendo che questo fonda significa il dono della vita. Questa notte, miei cari, non passiamo troppo velocemente su questo amore. Non corriamo subito alle conseguenze “sociali” che pur ci devono essere. E’ come se una moglie, di fronte al marito che le dice di amarla, gli rispondesse: “Sì, ma lascia che vada a preparare la cena”. Bisognerà almeno per un po’ stare dentro a questa dichiarazione di amore. Si dovrà, almeno per un po’, lasciarci commuovere da questo slancio che è insieme umano e divino. Si dovrà, almeno per qualche attimo “credere all’amore”, come ci dice la prima lettera di San Giovanni. Si dovrà, almeno per un po’ avvertire come rivolto a me ciò che dice il Signore nel libro del profeta Sofonia : “Ti rinnoverò col mio amore”. Questa relazione con Cristo è l’essenza del cristianesimo da cui ogni altra opera prende avvio. Come ci ha detto Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est: “All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”.
3. Ma chi sono questi “suoi” che Cristo ama fino alla fine? Sono innanzi tutto i suoi apostoli, tra cui anche Giuda. Ma siamo anche noi. E’ Gesù stesso che lo assicura nella preghiera che rivolge al Padre nello stesso contesto dell’ultima cena, quando dice: Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me (…) perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro”. Dunque gli apostoli e noi oggetto dell’amore del Signore. Ciò che immediatamente balza all’occhio è la “sproporzione” tra l’amore di Gesù e noi. Chi erano effettivamente gli apostoli e chi siamo effettivamente noi? Dice don Mazzolari in un’omelia del giovedì santo 1957: “Li aveva tutti intorno, in una stanza che un amico ignoto gli aveva prestato, in un’ora in cui il cuore traboccava di tenerezza, di pietà, di immolazione. Li conosceva, sapeva quello che c’era dentro, sapeva la loro fragilità. Quando Pietro dice: “Anche se tutti ti abbandoneranno, io non ti abbandonerò”, il Signore lo guarda con tristezza. “Pietro, prima che il gallo canti la seconda volta, tu mi avrai rinnegato tre volte”. “Tutti prenderete paura di me, fuggirete e mi lascerete solo”. Come vedeva chiaro nel cuore degli apostoli! Come misurava la fragilità della loro amicizia e della loro devozione! E per tre anni li aveva avuti vicini. Erano stati i suoi confidenti, avevano udito le parole più alte, avevano assistito ai grandi miracoli, avevano misurato fino in fondo quello che c’era di infinitamente buono nel cuore del maestro. Ed ora, alla prima occasione in cui bisognava pagare la testimonianza, affrontando un’opinione che non era favorevole, non lo capiscono più e l’abbandonano. Fra poche ore lo arresteranno e Gesù rimarrà solo, tremendamente solo; solo nell’agonia, solo davanti ai giudici, solo nella condanna, solo a portare la croce, solo a salire il Calvario, solo sulla croce, con due ladroni inchiodati con lui sul legno. E, nonostante questo, il Signore non cessa di amarli. Vorrei dire, anzi, che essi, così fragili, così mutevoli, così poco sicuri della loro fede, entrano nel cuore del Signore con una pietà singolare. Il Signore non ha mai guardato con tanta tenerezza i suoi apostoli come nell’ultima cena, quando sul loro volto si disegnava il momento della viltà. A questi suoi figlioli, a questi suoi testimoni che gli si rivoltano contro – uno farà il triplice rinnegamento, un altro ha già in tasca i trenta denari del tradimento – il Signore dà il dono più grande: l’Eucaristia. “Io sarò con voi”. Non basta una morte sola. Tutti i giorni egli deve morire per questi suoi figlioli, che siamo noi, figlioli che non hanno il coraggio di dirsi cristiani, che gli voltano le spalle ad ogni svolta di strada, che lo bestemmiano, che lo tradiscono, che l’hanno venduto. Nessuno di noi gli ha voluto così bene da poter dire: “Signore, son sempre stato con te, ho sofferto con te, ho goduto con te, ho portato la croce con te, ho affrontato l’opinione pubblica che era contro di te”. Siamo tutti dei poveri fratelli, dei poveri discepoli del Signore!” (P. Mazzolari).
4. E’ bene, cari fratelli e sorelle, che questa sera valutiamo bene la sproporzione tra l’amore di Gesù per noi e il nostro amore per lui. E questa sproporzione va accettata, anzi, in questa notte dell’amore e del tradimento, questa sproporzione deve diventare in qualche modo la nostra unità di misura. Io sono chiamato ad amare con questa sproporzione mia moglie o mio marito che mi hanno tradito; amare con questa sproporzione i miei figli che non sono come li vorrei e hanno dimenticato la strada retta; amare con questa sproporzione i miei colleghi di lavoro, che tutto fanno per rendere l’ambiente invivibile; amare con questa sproporzione gli anziani ripiegati a volte su stessi; amare con questa sproporzione gli amici che mi hanno deluso; amare con questa sproporzione la mia comunità quando non risponde come vorrei; amare con questa sproporzione i miei preti che forse non incontrano i miei gusti.
La sproporzione dell’amore è la misura del giovedì santo. Non ce la faremo, lo sappiamo fin da ora, ma l’averci provato e riprovato e ancora una volta ricominciato da capo sarà il segno che questa notte di amore e di tradimento non sarà trascorsa per noi invano.