Omelia del Parroco alla Messa per la pace del 1 gennaio 2016

  • 03/01/2016
  • Don Gabriele

1. L’odierna liturgia contempla, come in un mosaico, diversi fatti e realtà messianiche, ma l’attenzione si concentra particolarmente su Maria, Madre di Dio. Otto giorni dopo la nascita di Gesù, ricordiamo la Madre, la Theotókos, colei che "ha dato alla luce il Re che governa il cielo e la terra per i secoli in eterno" (Antifona d’ingresso; cfr Sedulio). La liturgia medita oggi sul Verbo fatto uomo, e ripete che è nato dalla Vergine. Riflette sulla circoncisione di Gesù – il primo spargimento del suo sangue (per questo il velo sotto Gesù Bambino da bianco è stato mutato in rosso) – come rito di aggregazione alla comunità, e contempla Dio che ha dato il suo Unigenito Figlio come capo del "nuovo popolo" per mezzo di Maria. Ricorda il nome dato al Messia, e lo ascolta pronunciato con tenera dolcezza da sua Madre. Invoca per il mondo la pace, la pace di Cristo, e lo fa attraverso Maria, mediatrice e cooperatrice di Cristo (cfr Lumen gentium, 60–61).

Tuttavia Maria non concentra l’attenzione su di sè, in lei si manifesta il cosiddetto misterium lunae; come la luna, infatti, appare luminosa perché il sole la illumina, così la Vergine Santa ci invita a contemplare colui che è la luce delle genti, Gesù Cristo, il Verbo di Dio fatto uomo.

2. Contemplando il Signore Gesù con la Vergine Madre, la nostra assemblea liturgica implora il dono della pace. Nella prima Lettura, tratta dal Libro dei Numeri, abbiamo ascoltato l’invocazione: "Il Signore ti conceda pace" (6,26). Tutti aspiriamo a vivere nella pace, ma la pace vera, quella annunciata dagli angeli nella notte di Natale, non è semplice conquista dell’uomo o frutto di accordi politici; è innanzitutto dono divino da implorare costantemente e, allo stesso tempo, impegno da portare avanti con pazienza restando sempre docili ai comandi del Signore.

Nel consueto messaggio inviato dal Papa per la Giornata Mondiale della Pace, Egli ci invita a “vincere l’indifferenza” e a “conquistare la pace”. Il Santo Padre elenca innanzi tutto alcune forme di indifferenza. La prima forma di indifferenza – dice – nella società umana è quella verso Dio, dalla quale scaturisce anche l’indifferenza verso il prossimo e verso il creato. Questa indifferenza, sostiene il Papa, minaccia la pace. L’indifferenza verso Dio supera la sfera intima e spirituale della singola persona ed investe la sfera pubblica e sociale. L’oblio e la negazione di Dio, che inducono l’uomo a non riconoscere più alcuna norma al di sopra di sé e a prendere come norma soltanto sé stesso, hanno prodotto crudeltà e violenza senza misura. A livello individuale e comunitario l’indifferenza verso il prossimo, figlia di quella verso Dio, assume l’aspetto dell’inerzia e del disimpegno, che alimentano il perdurare di situazioni di ingiustizia e grave squilibrio sociale, le quali, a loro volta, possono condurre a conflitti o, in ogni caso, generare un clima di insoddisfazione che rischia di sfociare, presto o tardi, in violenze e insicurezza. Quando poi investe il livello istituzionale, l’indifferenza nei confronti dell’altro, della sua dignità, dei suoi diritti fondamentali e della sua libertà, unita a una cultura improntata al profitto e all’edonismo, favorisce e talvolta giustifica azioni e politiche che finiscono per costituire minacce alla pace. Tale atteggiamento di indifferenza può anche giungere a giustificare alcune politiche economiche deplorevoli, foriere di ingiustizie, divisioni e violenze, in vista del conseguimento del proprio benessere o di quello della nazione. Non di rado, infatti, i progetti economici e politici degli uomini hanno come fine la conquista o il mantenimento del potere e delle ricchezze, anche a costo di calpestare i diritti e le esigenze fondamentali degli altri. Quando le popolazioni vedono negati i propri diritti elementari, quali il cibo, l’acqua, l’assistenza sanitaria o il lavoro, esse sono tentate di procurarseli con la forza. Inoltre, l’indifferenza nei confronti dell’ambiente naturale, favorendo la deforestazione, l’inquinamento e le catastrofi naturali che sradicano intere comunità dal loro ambiente di vita, costringendole alla precarietà e all’insicurezza, crea nuove povertà, nuove situazioni di ingiustizia dalle conseguenze spesso nefaste in termini di sicurezza e di pace sociale. Quante guerre sono state condotte e quante ancora saranno combattute a causa della mancanza di risorse o per rispondere all’insaziabile richiesta di risorse naturali? Il Papa propone quindi la medicina della misericordia per vincere l’indifferenza globalizzata. La misericordia è il cuore di Dio, dice. Perciò dev’essere anche il cuore di tutti coloro che si riconoscono membri dell’unica grande famiglia dei suoi figli; un cuore che batte forte dovunque la dignità umana – riflesso del volto di Dio nelle sue creature – sia in gioco. Gesù ci avverte: l’amore per gli altri – gli stranieri, i malati, i prigionieri, i senza fissa dimora, perfino i nemici – è l’unità di misura di Dio per giudicare le nostre azioni. Come diceva San Giovanni dalla Croce: “Alla fine della vita saremo giudicati sull’amore”.

Con questi pensieri ci accostiamo all’altare per celebrare il sacrificio di colui che – come dice la Liturgia della Chiesa – è vittima immacolata di pace, Gesù Cristo, la misericordia di Dio, che ha assunto un nome, un volto, una storia e che ci domanda di essere misericordiosi come il Padre. Amen

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