Omelia del parroco - Mercoledì delle Ceneri 2018
Cari fratelli e sorelle,
qualche tempo fa, sul nostro notiziario settimanale, avevo sottolineato la differenza tra ripetizione e ripetitività. Quest’ultima – la ripetitività – ha un significato negativo: fare le stesse cose sempre annoia e ci aliena un po’. La ripetizione, invece, è positiva. Pensiamo, per esempio, al mangiare: se siamo sani, lo facciamo più volte al giorno, ma difficilmente ci annoia; o al bere; al dormire; ai gesti dell’amore. Pensiamo alle arti liberali: suonare, cantare, dipingere … quante volte ci si ripete, ma quanto viene nutrito lo spirito in coloro che vi si dedicano! Dunque, se la ripetitività ci aliena, la ripetizione ci gratifica.
Ogni anno “ripetiamo” la quaresima, questo tempo pieno di quaranta giorni da vivere da parte dei cristiani tutti insieme come tempo di conversione, di ritorno a Dio. Certamente anche nel corso del resto dell’anno i cristiani devono vivere lottando contro gli idoli seducenti: sempre, infatti, è il tempo favorevole ad accogliere la grazia e la misericordia del Signore. La Chiesa tuttavia – che nella sua intelligenza conosce l’incapacità della nostra umanità a vivere con forte tensione il cammino quotidiano verso il Regno – chiede che ci sia un tempo preciso che si stacchi da ciò che è abituale, un tempo “altro”, un tempo forte in cui far convergere nello sforzo di conversione la maggior parte delle energie che ciascuno possiede. E la Chiesa chiede che questo sia vissuto simultaneamente da parte di tutti i cristiani, sia cioè uno sforzo compiuto tutti insieme, in comunione e solidarietà. Ecco la quaresima!
Sappiamo bene, infatti, che noi non siamo ancora tornati definitivamente a Dio, non siamo cioè ancora del tutto convertiti. Siamo fragili – vasi di creta dice Paolo; facilmente ci adattiamo alla mondanità nei nostri giudizi, nelle nostre scelte, negli stili del nostro esistere. Il peso della concupiscenza ci trascina verso il basso; avvertiamo sì la lotta che c’è dentro di noi tra l’uomo nuovo, già inaugurato col battesimo, e l’uomo vecchio che tanto desidera corrompersi dietro le passioni ingannatrici, sicché richiamo di vivere la fede in una sorta di schizofrenia.
Allora la quaresima rappresenta un forte richiamo a tornare “all’unico necessario”, che è Dio, ritrovando così anche la verità del nostro essere. La quaresima non è un tempo in cui “fare” qualche particolare opera di carità o di mortificazione, perché Gesù nel vangelo appena proclamato afferma che anche gli ipocriti digiunano, anche gli ipocriti fanno la carità (cf. Mt 6,1-6.16-18). La quaresima è prima di tutto unificare la vita davanti a Dio e ordinare il fine e i mezzi della vita cristiana, tra cui ci sono senz’altro la preghiera, la penitenza e la carità – di cui ho già parlato sul Notiziario parrocchiale – senza confonderli.
La quaresima vuole riattualizzare i quarant’anni di Israele nel deserto, guidando il credente alla conoscenza di sé, cioè alla conoscenza di ciò che il Signore del credente stesso già conosce: conoscenza che non è fatta di introspezione psicologica ma che trova luce e orientamento nella Parola di Dio. Come Cristo per quaranta giorni nel deserto ha combattuto e vinto il tentatore grazie alla forza della Parola di Dio (cf. Mt 4,1-11), così il cristiano è chiamato ad ascoltare, leggere, pregare più intensamente e più assiduamente – nella solitudine come nella liturgia – la Parola di Dio contenuta nelle Scritture. La lotta di Cristo nel deserto diventa allora veramente esemplare e, lottando contro gli idoli, il cristiano smette di fare il male che è abituato a fare e comincia a fare il bene che non fa! Emerge così la “differenza cristiana”, ciò che costituisce il cristiano e lo rende eloquente nella compagnia degli uomini, lo abilita a mostrare il Vangelo vissuto, fatto carne e vita.
Il mercoledì delle Ceneri segna l’inizio di questo tempo propizio della quaresima ed è caratterizzato, come dice il nome, dall’imposizione delle ceneri sul capo di ogni cristiano. Un gesto che forse oggi non sempre è capito ma che, se spiegato e recepito, può risultare più efficace delle parole nel trasmettere una verità. La cenere, infatti, è il frutto del fuoco che arde, racchiude il simbolo della purificazione, costituisce un rimando alla condizione del nostro corpo che, dopo la morte, si decompone e diventa polvere: sì, come un albero rigoglioso, una volta abbattuto e bruciato, diventa cenere, così accade al nostro corpo tornato alla terra, ma quella cenere è destinata alla resurrezione.
Quella della cenere è dunque una simbolica ricca, già conosciuta nell’Antico Testamento e nella preghiera degli ebrei: cospargersi il capo di cenere è segno di penitenza, di volontà di cambiamento attraverso la prova, il crogiolo, il fuoco purificatore. Certo è solo un segno, che chiede di significare un evento spirituale autentico vissuto nel quotidiano del cristiano: la conversione e il pentimento del cuore contrito. Ma proprio questa sua qualità di segno, di gesto può, se vissuto con convinzione e nell’invocazione dello Spirito, imprimersi nel corpo, nel cuore e nello spirito del cristiano, favorendo così l’evento della conversione.
Il rito dell’imposizione delle ceneri ricorda al cristiano innanzitutto la sua condizione di uomo tratto dalla terra e che alla terra ritorna, secondo la parola del Signore detta ad Adamo peccatore (cf. Gen 3,19). Ciò è espresso dalla prima formula rituale: “Ricordati che sei polvere e polvere ritornerai”. La seconda formula rituale: “Convertitevi e credete all’Evangelo” fa riecheggiare le parole di Gesù all’inizio della sua predicazione. Questa seconda formula ci aiuta a prendere coscienza che il fuoco dell’amore di Dio consuma il nostro peccato; accogliere le ceneri nelle nostre mani significa percepire che il peso dei nostri peccati, consumati dalla misericordia di Dio, è “poco peso”; guardare quelle ceneri significa riconfermare la nostra fede pasquale: saremo cenere, ma destinata alla resurrezione. Sì, nella nostra Pasqua la nostra carne risorgerà e la misericordia di Dio come fuoco consumerà nella morte i nostri peccati.
Nel vivere il mercoledì delle ceneri i cristiani non fanno altro che riaffermare la loro fede di essere riconciliati con Dio in Cristo, la loro speranza di essere un giorno risuscitati con Cristo per la vita eterna, la loro vocazione alla carità che non avrà mai fine. Il giorno delle ceneri è annuncio della Pasqua di ciascuno di noi ( cf E. Bianchi, Dare senso al tempo. Le feste cristiani,
Edizioni Qiqajon 2003, pg. 41-44). Non per niente lo celebriamo con l’Eucaristia, il banchetto sacrificale del Signore, partecipando al quale già passiamo dalla morte alla vita.