Omelia del Parroco durante la Missa in Coena Domini
Omelia del Giovedì Santo 17 aprile 2025
1. La consapevolezza di Cristo e la nostra
Il brano di vangelo che abbiamo ascoltato inizia così: “Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine”. Gesù, cioè, è pienamente consapevole di quello che gli succederà a breve ed è pienamente consapevole del significato dei gesti che in quella stessa sera compirà.
La consapevolezza di Cristo è molto importante, perché ha una ricaduta sulla ragionevolezza della nostra fede. La morte di Cristo in croce non è avvenuta come qualcosa che sia intervenuta accidentalmente, qualcosa che Gesù non si aspettava. Perché se fosse effettivamente capitato così potremmo dubitare del valore redentivo della sua morte sulla croce, valore che solo successivamente i cristiani avrebbero attribuito a questa disgrazia occorsa a Gesù di Nazareth.
Il Vangelo ci dice, cioè, che Cristo entra nei fatti tragici che gli succederanno in piena consapevolezza e questo fatto consente a noi di abbracciarne tutta la portata salvifica, anticipata ed espressa del resto dalla stessa istituzione – nell’ultima Cena – del sacramento suo corpo dato e del suo sangue versato.
Piuttosto erano gli apostoli – che intercettano molti dei nostri atteggiamenti dinanzi a Cristo e alla sua vicenda – che erano sprovvisti di questa consapevolezza.
La sera del Giovedì Santo siamo dunque chiamati a chiederci – tra le altre cose – quale consapevolezza abbiamo noi di fronte a Cristo, alle sue parole, ai suoi gesti, alla sua croce. Quale consapevolezza. Quante volte abbiamo celebrato questi santi riti … è cresciuta la nostra consapevolezza o ancora vaghiamo nell’incertezza, ancora siamo nell’atteggiamento degli apostoli, nell’atteggiamento di Pietro? Una cosa sulla quale non riesco a darmi pace è quando mi ritrovo a pensare alle tante persone che per anni, dall’infanzia in avanti, hanno frequentato la fede cristiana, i nostri stessi riti e ad un certo punto hanno lasciato perdere (alcuni erano addirittura catechisti). E mi domando: è mai possibile che non abbiano conseguito alcuna consapevolezza? che cosa hanno fatto tutti quegli anni in cui sono venuti a Messa, hanno ricevuto i sacramenti, hanno frequentato la catechesi, l’hanno addirittura fatta? Mi dispiace immensamente per queste persone, che non sono riuscite a gustare il Signore, ad entrare in relazione con lui, ad aprirsi ad una visione ampia e bella qual è quella della fede.
Noi che siamo qui, senza sentirci migliori o superiori agli altri, cerchiamo di aprirci ad una consapevolezza superiore a quella dello scorso anno, consapevolezza che si acquista lasciandoci lavare i piedi dal Signore Gesù.
2. Il senso dell’annuncio della morte del Signore
Il secondo pensiero lo prendiamo dalla conclusione del brano della prima lettera che Paolo scrive ai Corinti e che abbiamo ascoltato come seconda lettura. Egli, dopo averci narrato come abbia trasmesso – circa l’istituzione dell’Eucaristia da parte di Gesù – ciò che ha ricevuto [e ricordiamo che questo di Paolo è il testo più antico sull’argomento, scritto non molti anni dopo l’Ultima Cena], afferma: “Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga”. Attiro la vostra attenzione su questo passaggio: “annunciate la morte del Signore”. Che cosa vuol dire? Che senso ha annunciare una morte? Il significato delle notizie di morte diffuse dai media è la morte in se stessa, la morte come tragico destino dell’esistenza umana. Là dove invece è annunciata la morte del Signore Gesù, il significato è del tutto diverso. La morte di Cristo, infatti, annuncia la vita come destino ultimo ed eterno dell’uomo. La morte di Cristo grida all’uomo: “Tu non muori, vivrai!”. Proclamare la morte del Signore è paradossalmente un annuncio di gioia tanto importante da dover attraversare tutta la storia umana dopo che questa morte è intervenuta, fino alla Parusia, ossia fino a quando il Signore non ritornerà. Ma perché l’annuncio della morte del Signore può sostenere la speranza e l’amore per la vita di fronte all’esperienza ineluttabile della morte? Perché questo annuncio non è separato dalla realtà che gli dà consistenza. Mi spiego: non è innanzitutto con le parole che la comunità cristiana annuncia la morte vivificante di Cristo, ma celebrando l’Eucaristia. L’annuncio della morte del Signore è l’annuncio di un avvenimento sempre presente nella Chiesa; un avvenimento passato che non passa e che fonda una speranza, che non decade in un bel sogno per un futuro lontano, perché nel sacramento dell’Eucaristia, cuore e vita della Chiesa, si rinnova l’evento della morte che ha vinto la nostra morte con la risurrezione del Signore. In Cristo che muore crocifisso, il destino mortale dell’umanità è stato convertito nel dono di una vita che non può morire. Gesù non dà solamente la sua vita per noi; ce la dà nel senso che la sua vita diventa la nostra, che la sua vita scorre dentro di noi, che noi viviamo per lui, con lui e in lui. Quando un uomo dà la sua vita per un altro, vuol dire che egli muore affinché l’altro non muoia e possa continuare a vivere la sua vita (ricordiamo per esempio san Massimiliano Maria Kolbe oppure Gianna Beretta Molla). Ma quando Cristo muore per noi, non è soltanto perché noi continuiamo a vivere la nostra vita mortale ma perché possiamo vivere la sua vita divina eterna. In questo senso l’Eucaristia è nella nostra vita un avvenimento di eternità; è l’eternità che comincia oggi per noi. A ogni Eucaristia Gesù dice a ciascuno di noi: “Oggi sarai con me nel Paradiso” (Lc 23,43).
Il dono della vita divina nell’Eucaristia, quando è accolta sul serio, diventa come una spinta interiore a diffonderla. Per questo Gesù la sera in cui ha istituito l’Eucaristia ha lavato anche i piedi ai suoi apostoli. San Paolo ci ha lasciato il miglior commento sul rapporto tra Eucaristia e amore/servizio quando ha esclamato: “Caritas Christi urget nos”. “E’ la carità di Cristo che ci spinge” (2 Cor 5,14).
In questo Giovedì Santo, inizio della Pasqua celebrata in tre giorni, chiediamo al Signore una consapevolezza nuova e profonda di lui e dei suoi sacramenti; il gusto della sua vita divina in noi, la prova che questa sua vita vive in noi per mezzo dell’esercizio della carità.