Omelia del Parroco in occasione della Prima Messa a Castiglione di don Marco Valcarenghi
Prima Messa a Castiglione di don Marco Valcarenghi
29 giugno 2024
Caro don Marco, cari fratelli nel sacerdozio, cari fratelli e sorelle.
Le letture della solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo appena proclamate ci aiutano a riflettere in questa gioiosa circostanza: la Prima Messa di don Marco, che qui ha trascorso due anni come seminarista in formazione.
Vorrei lasciare a te, don Marco, e a tutti noi alcuni pensieri che si raccolgono attorno a tre parole: agonismo, intercessione, promessa.
Agonismo
1. Agonismo deriva da agonia e significa disponibilità a combattere e a soffrire per raggiungere una meta.
Nella prima e nella seconda lettura incontriamo questa dimensione agonica nella vita di Pietro e di Paolo. Abbiamo ascoltato, infatti, il testo degli Atti degli Apostoli, che ci riferisce come “Erode avesse cominciato a perseguitare alcuni membri della Chiesa. Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. Erano quelli i giorni degli Àzzimi. Lo fece catturare e lo gettò in carcere, consegnandolo in custodia a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, col proposito di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua”. La dimensione agonica la incontriamo anche nella seconda lettura dove abbiamo invece ascoltato, come Paolo, rivolgendosi al discepolo Timoteo, afferma: “Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”.
La vita dell’apostolo è connotata da questa dimensione agonica, cioè da una situazione di sofferenza. Assumere il ministero del prete significa accettare di soffrire. Non voglio ora elencare tutte le situazioni in cui incontrerai la sofferenza perché non ti voglio spaventare, ma anche perché tu stesso sei consapevole che sarà necessaria la sofferenza, che viene dal di fuori e che nasce dal di dentro. Sottolineo, perciò, solo due aspetti: uno di carattere più esteriore – diciamo – generale e uno maggiormente interiore. Quello più esteriore. In una omelia per una prima messa, nel 1954, commentando il brano di Vangelo di Giovanni, in cui Gesù predice a Pietro il martirio, don Joseph Ratzinger, rifacendosi al rito che era in vigore allora, ma che è adatto anche oggi, diceva: … durante l’ordinazione sacerdotale, le mani del sacerdote, che sono state unte, vengono strettamente legate tra loro, e con le mani legate egli prende il calice in cui subito dopo sarà porto all’eterno Padre il sangue redentore del Signore. Le sue mani sono legate e mai più gli apparteranno di nuovo. Tutto il suo essere è vincolato a Dio. E’ finito il tempo dei sogni, quando ogni strada sembrava aperta e ogni cosa sembrava possibile: per sempre egli ha messo le sue mani legate in mano a Dio. Dio solo, ora, stabilisce quel che è possibile, lui solo (Omelia per la prima messa di Franz Niegel, Berchtesgaden, 1954. Joseph Ratzinger, Opera Omnia vol. 12, Annunciatori della Parola e servitori della vostra gioia, LEV 2013, pp. 742-743). E c’è anche una sofferenza più interiore. Sempre in un’omelia per una prima messa, il già citato autore dice del giovane sacerdote. “E forse la cosa più spaventosamente grande che gli viene chiesta è dover pronunciare continuamente le parole più grandi dell’umano linguaggio, quelle che in realtà potremmo osare sfiorare solo timidamente: giustizia, verità, fedeltà, purezza, amore, rinuncia di sé; queste sono le parole che deve di continuo avere sulla bocca, e che però giudicano e accusano lui stesso (Omelia per la prima messa di Karl Besler, Traunstei, 1973, l.c., p. 75).
La sofferenza, a volte una vera e propria agonia, che dovrai attraversare, ti saranno di grande utilità per conformarti interiormente a Cristo quando ogni giorno pronuncerai le sue parole: “Ecco il mio corpo; ecco il mio sangue versato per voi”. Paradossalmente la sofferenza è benedetta perché se vissuta in questa conformità ti farà crescere e maturare interiormente.
E la sofferenza che vivrai nel tuo intimo, quando ti accorgerai dello scarto che c’è nella tua vita tra la misura alta che ti tocca di annunciare e le tue personali fragilità ti renderà compassionevole e misericordioso con i fratelli e le sorelle che saranno affidati al tuo ministero.
Intercessione
2. Il secondo pensiero ruota intorno alla parola “intercessione”. Abbiamo ascoltato nella prima lettura che mentre Pietro era tenuto in prigione “dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui”. Nella sofferenza non sarai solo: la Chiesa sarà con te e pregherà per te. Nella nostra vita di preti dobbiamo stare attenti a non pensarci sempre nella posizione che assumiamo durante la liturgia, ossia la posizione di chi sta davanti alla Chiesa. In una omelia del 21 aprile 2021 il papa Francesco ha ben sintetizzato questa dinamica, asserendo che il prete a volte si pone davanti al Popolo di Dio per indicare la strada e sostenerne speranze e aspirazioni, altre volte sta in mezzo a tutti con la sua vicinanza semplice e misericordiosa, e in alcune circostanze cammina dietro al Popolo di Dio per aiutare e infondere coraggio a coloro che faticano a stare al passo. La Chiesa! Quando la penso sempre riaffiorano alla mente le altissime parole di Paolo VI in uno dei testi più belli e commoventi che abbia scritto, il suo testamento spirituale, il cd. Pensiero alla morte: “Potrei dire che sempre l'ho amata – dice Paolo VI della Chiesa – fu il suo amore che mi trasse fuori dal mio gretto e selvatico egoismo e mi avviò al suo servizio; e che per essa, non per altro, mi pare d'aver vissuto. (…). Vorrei finalmente comprenderla tutta nella sua storia, nel suo disegno divino, nel suo destino finale, nella sua complessa, totale e unitaria composizione, nella sua umana e imperfetta consistenza, nelle sue sciagure e nelle sue sofferenze, nelle debolezze e nelle miserie di tanti suoi figli, nei suoi aspetti meno simpatici, e nel suo sforzo perenne di fedeltà, di amore, di perfezione e di carità. Corpo mistico di Cristo. Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e sacerdote che l'assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra; benedirla”. Ama la Chiesa perché Cristo la ama, amala perché ti ha generato e ti ha nutrito e ti nutre, amala perché è la sposa bella del Signore. Amala e difendila con amore di figlio e con ardore e gelosia di sposo. Sentiti protetto dalle sue mura, ama le sue istituzioni, ama le sue leggi, ama i suoi sforzi di purificazione. E ricordati che dalla Chiesa una preghiera incessante sale al Padre per te, per esempio ogni volta in cui si celebra l’Eucaristia in ogni parte del mondo.
Promessa
3. Il terzo ed ultimo pensiero è ispirato alla pagina del vangelo, nella quale Gesù, affidando a Pietro il cd. Primato, esprime una duplice promessa, ossia che le porte degli inferi non prevarranno sulla Chiesa e che egli gli avrebbe dato il potere di sciogliere e di legare in cielo e in terra.
Circa la prima promessa, caro Marco, il Signore rassicura anche te che non stai lavorando in perdita. Il lavoro apostolico che svolgerai non sarà inutile: le porte degli inferi non prevarranno. A volte vien voglia di lasciarci cadere le braccia: a che pro tanto impegno, tanta passione? La Chiesa perde terreno; come dicevo non molto tempo fa, oggi, se parli di Dio a molta gente, sbadiglia; Dio è nullificato; i modelli di vita che si stanno affermando negano il vangelo, anzi, c’è una sorta di astio verso tutto ciò che lo ricorda, e questo astio sembra diventare disprezzo nei confronti dei preti, in modo particolare. Non avere paura: lavora sereno e con entusiasmo; non lavori per una causa persa; le porte degli inferi non prevarranno. Risuonino sempre nel tuo cuore le parole di Gesù che leggiamo nel vangelo di Giovanni: “Dal mondo voi avrete tribolazione, ma abbiate fiducia: io ho vinto il mondo”. Questa consapevolezza non ti farà cedere al vittimismo: sii umilmente orgoglioso del tuo ministero. L’altra promessa, collegata a questa, è l’assicurazione che Dio rende il tuo ministero fecondo: ti dà un vero potere. Certamente non si tratta di un potere mondano, ma di una potestà in forza della quale puoi perdonare i peccati, puoi assicurare che il pane e il vino diventino nel memoriale eucaristico il corpo e il sangue del Signore, cioè lui, vivo e risorto, che torna a visitare il suo popolo. S. Agostino, parlando del potere di sciogliere e di legare, afferma che esso è dato singolarmente a Pietro, ma anche a tutta la Chiesa, cioè a tutti i vescovi e i presbiteri sia pure sotto Pietro. Esercita questa potestà con la gravità necessaria, ricordati che essa è per edificare il popolo di Dio e non per la tua gloria personale. Pensa sempre che tu sei stato costituito nel ministero non per essere il padrone della fede dei fratelli, ma il collaboratore della loro gioia.
Signore Gesù, benedici l’inizio del ministero di don Marco, sii tu la sua intima gioia che assapora ogni sera quando si corica e che riscopre ogni mattina quando si sveglia. Compi l’opera che hai iniziato in lui. Amen!