HA ANCORA SENSO PARLARE DI CULTURA CATTOLICA? Ad ogni tornante di voto si ripropone la questione
HA ANCORA SENSO PARLARE DI CULTURA CATTOLICA? Ad ogni tornante di voto si ripropone la questione
Si usa la locuzione di “cultura cattolica” da quando essa non è più condivisa. Nessuno nel Medioevo si sarebbe sognato di parlare di “cultura cattolica” perché essa coincideva con la cultura stessa. Il termine, utilizzato in opposizione a ciò che derivava dal protestantesimo, prese poi il suo senso attuale nel XIX secolo, soprattutto quando la Chiesa cominciò a stabilire una dottrina sociale che entrava in conflitto con la cultura scolastica e universitaria degli Stati nazionali. In questo senso, cultura cattolica divenne una locuzione utile sia per descrivere una minoranza dell’élite intellettuale legata agli insegnamenti dei Papi sia per indicare la maggioranza della popolazione di molti paesi, tra cui l’Italia. Persa progressivamente la maggioranza – anche in Italia – si cominciò a chiedersi che cosa fosse, che cosa dovesse essere e come dovesse funzionare la cultura cattolica per essere significativa. Si crearono così, nel secondo dopoguerra, due grandi filoni: coloro che pensavano che la cultura cattolica fosse soprattutto una riflessione e un’ermeneutica, cioè un’interpretazione o una riproposizione sistemica a partire dai Vangeli, e coloro che ritenevano che essa fosse lo sviluppo di un’appartenenza comunitaria che ripeteva l’esperienza evangelica. I primi per lo più mettevano al centro la questione della Parola evangelica, che va interpretata. I secondi il legame con l’esperienza dei Sacramenti e della vita comunitaria. Verso la fine degli anni Ottanta del secolo scorso la posizione dei primi si era evoluta in un forte eticismo – il cristianesimo come questione di valori – mentre la seconda, soprattutto grazie al fiorire dei movimenti sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, aveva sottolineato le implicazioni esistenziali e sociali. Tra le due posizioni si era così creato un solco, che finiva per opporre pensiero e fede, intellettuali e popolo cristiano, logica ed evento. Gli ultimi papi, da Giovanni Paolo II, passando per Benedetto XVI fino a Francesco, hanno detto con molta chiarezza che la fede è un avvenimento e non una riflessione o un insieme di valori o un impegno sociale (“non è una Ong”, nella celebre espressione del Papa attuale) e che dall’avvenimento deve nascere una cultura. Proprio in questi giorni i Vescovi italiani, riuniti in assemblea, hanno detto chiaramente, per esempio, che la carità non basta, ci vuole anche la cultura. Se tale coscienza culturale non nasce, l’avvenimento resta vago e tende a diventare sentimentale. Se invece la coscienza culturale obnubila l’avvenimento iniziale, tende a diventare intellettualismo conservatore o relativista. Per descrivere questi due ultimi atteggiamenti, il Papa attuale ha usato le antiche categorie di pelagiano e gnostico, le due grandi eresie antiche. Chiaramente il cattolicesimo è diventato cosciente di essere una piccola minoranza in Europa, ritrovando però occasionali punte di creatività, come Benedetto XVI auspicava. In questa situazione, non è pensabile che si crei una nuova cultura cattolica nel senso di una risposta onnicomprensiva e sistematica, o addirittura produttrice o foriera di mentalità dominanti. E, d’altro canto, non è pensabile, che il cattolicesimo viva solo di risulta, ossia di reazione a quanto proposto dalla mentalità dominante. O peggio ancora, che si confonda con essa. Ora come ora, ciò che si trova, come in tutte le epoche di crisi, sono singoli gruppi o persone creative che, innestati nella tradizione della Chiesa, sono capaci di suggerire sentieri nuovi, di esperienza e di pensiero. E questo deve valere anche per la nostra comunità (penso, per esempio, al Gruppo Famiglie o al Gruppo che fa riferimento alla Caritas e al Centro di Ascolto o ai Gruppi di Ascolto della Parola di Dio). Perché questi sentieri diventino strade e poi piazze o città occorrerà molto tempo, ma non tendere alla lunga a questo risultato sarebbe sciocco almeno quanto il non vederne la difficoltà di realizzazione a breve sarebbe cieco (passaggi ripresi ad un articolo di Giovanni Maddalena, apparso su “Tempi” il 22 maggio 2024).
Il vostro parroco
Don Gabriele