Omelia del Parroco nella S. Messa solenne del 1° gennaio 2024
Omelia 1° gennaio 2024
Lo sguardo dei pastori
Il brano di vangelo ci ha narrato la visita fatta dai pastori alla grotta di Betlemme, dopo aver ascoltato e dato credito a quanto gli angeli avevano detto loro. Tra le varie azioni dei pastori ne sottolineo una: il vedere. Vanno e vedono. Che cosa vedono? Un bambino, abbastanza sfortunato direi, visto le condizioni in cui lo trovano. Eppure, dice il Vangelo, se ne tornarono lodando e glorificando Dio. Avevano visto. C’è modo e modo di vedere. “Filippo – dirà in giorno Gesù ad un suo apostolo – chi ha visto me ha visto il Padre”, cioè Dio. I pastori hanno visto e invitano anche noi a vedere con gli occhi della fede, che sono poi gli occhi che vedono davvero. Guardando il Bambino, ecco che avevano appreso uno sguardo nuovo, e questa novità permetteva loro di vivere tutto, perfino gli aspetti più cupi della loro esistenza disprezzata, lodando e glorificando Dio. Il dono di Gesù apriva i loro occhi al dono della loro stessa vita, al dono che era la loro vita, così com’era.
Lo sguardo di Maria
Nel bel mezzo della confusione che la visita dei bravi ed euforici pastori provoca nel rifugio di fortuna dove ha appena partorito, Maria rimane in un profondo silenzio contemplativo e non abbandona il suo sguardo interiore sul Figlio.
Orbene, questo sguardo contemplativo di Maria è l’inizio di un mondo nuovo, del mondo rigenerato, della vita eterna: un inizio che non ha fine, poiché l’eterna novità di Cristo non può finire.
L’umanità ha bisogno di una Madre che educhi il suo sguardo a vedere Cristo, il Figlio incarnato del Padre.
Cominciare un anno alla luce del Nome di Gesù e alla luce della Maternità divina di Maria vuol dire cominciare l’anno nella certezza che non solo la Salvezza è possibile, ma che è presente. Ogni nuovo anno è un anno già salvato, e non dalla mezzanotte di questo 1º gennaio, ma da più di duemila anni, da quando il Salvatore, Gesù, è entrato e abita nel mondo.
Certamente, le ombre della storia personale e mondiale insinuano in noi la tentazione di pensare che questo mondo non sia salvato, ma abbandonato all’infelicità, alla disperazione, alla morte. E tuttavia, anche queste ombre, soprattutto esse, chiamano Gesù, invocano Gesù; e noi cristiani abbiamo la stessa missione urgente e vitale di Maria e Giuseppe: quella di invocare il Nome di Gesù sulla fragilità umana che Dio ha già tutta abbracciato, da Betlemme fino al Calvario: invocarlo tramite la preghiera, ma anche invocarlo permettendo a Cristo di renderci strumenti vivi del suo amore che salva, della sua carità che dona la vita, affinché tutta l’umanità conosca la sua Salvezza.
Il messaggio per la pace 2024
In questa cornice, ricordo il Messaggio del Papa per la 57a Giornata Mondiale della Pace che porta come titolo: “Intelligenza artificiale e pace”.
Si tratta di un tema molto rilevante, ma anche piuttosto tecnico e non può essere trattato in un’omelia, Invito, pertanto, a leggerlo. Senza fatica lo si può reperire sui mezzi di comunicazione sociale.
Il perdono e la pace
Mi preme invece ricordare un tema che mi è molto caro, contenuto in un Messaggio di S. Giovanni Paolo II per la Giornata della Pace del 2002 dal titolo: “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”. Il Papa scriveva questo messaggio sullo sfondo dei fatti drammatici nell’11 settembre 2001, ma questo messaggio vale chiaramente anche per l’oggi, perché è sotto gli occhi di tutti - per esempio nel conflitto israelo-palestinese – che se non si intraprendono, insieme al ristabilimento della giustizia, percorsi di riconciliazione dei cuori, non se ne uscirà mai. E questo vale per tutti i conflitti in atto.
Ciò tocca anche ciascuno di noi, perché ognuno di noi deve fare la propria parte: è grande la solidarietà del bene, ma esiste anche una solidarietà del male, che, come massa infetta, grava sull’umanità, producendo tanta sofferenza.
Mi piace, perciò, consegnare a voi e a me, in conclusione, una riflessione del vescovo Tonino Bello sul nesso pace/perdono. Dice:
Solo chi perdona può parlare di pace ...
Non vorrei essere frainteso.
E' vero: la pace è conquista, cammino, impegno. Ma sarebbe un brutto guaio se qualcuno pensasse che essa sia semplicemente il frutto dei nostri sforzi umani o il risultato del nostro volontarismo titanico o una merce elaborata nelle nostre cancellerie diplomatiche o un prodotto costruito nei nostri cantieri popolari.
La pace è soprattutto dono che viene dall'alto. E' la strenna pasquale che Gesù ha fatto alla terra. È il regalo di nozze che ha preparato per la sua sposa. Con tanto di marchio di fabbrica: "Made in Cielo".
Qual è allora il ruolo degli operatori di pace? Quello di non respingere il dono al mittente. E' in particolare, quello di rendere attuale e fruibile per tutti questo regalo di Dio. Mi spiego con immagini. Gesù è sceso sulla terra tormentata dalla sete. Con la sua croce, piantata sul Calvario come una trivella, ha scavato un pozzo d'acqua freschissima. Una volta risorto, ha consegnato questo pozzo agli uomini dicendo: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace". Ora tocca a noi attingere l'acqua della pace per dissetare la terra. A noi, il compito di farla venire in superficie, di canalizzarla, di proteggerla dagli inquinamenti, di farla giungere a tutti.
La pace, dunque, è dono. Anzi, è " per-dono". Un dono "per". Un dono moltiplicato. Un dono di Dio che, quando giunge al destinatario, deve portare anche il "con-dono" del fratello.
E qui il discorso si fa concreto. Come possiamo dire parole di pace, se non sappiamo perdonare? Con quale coraggio pretendiamo che siano accettate le nostre scelte di pace a livello di massimi sistemi, quando nel nostro entroterra personale prevale la legge del taglione? Come possiamo rifiutare la "deterrenza" e respingere la logica del missile per missile, se nella nostra vita pratichiamo gli schemi dell'"occhio per occhio e dente per dente"? Quali liberazioni pasquali vogliamo annunciare, se siamo protagonisti di stupide smanie di rivincita, di deprimenti vendette familiari, di squallide faide di Comune? Chi volete che ci ascolti quando facciamo comizi sulla pace, se nel nostro piccolo guscio domestico siamo schiavi dell'ideologia del nemico?
Solo chi perdona può parlare di pace. E a nessuno è lecito teorizzare di dialogo tra popoli o maledire sinceramente la guerra, se non è disposto a quel disarmo unilaterale e incondizionato che si chiama "perdono"
L’Eucaristia
Ora celebriamo l’Eucaristia. Essa sembra così estranea, per esempio, alla questione dell’intelligenza artificiale sopra accennata o ai problemi che noi chiamiamo “concreti”. Ma non è così: il dono d’amore in cui essa consiste e a cui essa chiama resta incastonato in ogni dimensione dell’umano. E se per grazia di Dio non ci sarà mai un’Eucaristia artificiale, essa – l’Eucaristia – costituirà sempre il criterio di giudizio di ogni progresso tecnologico e scientifico, persino di ogni accordo diplomatico, perché richiama alla verità della dignità inalienabile della persona umana per la quale Dio ha offerto se stesso.