“DOVE NON C’È AMORE, METTI AMORE, E NE RICEVERAI AMORE”
“DOVE NON C’È AMORE, METTI AMORE, E NE RICEVERAI AMORE”
Cari fratelli e sorelle, il titolo di questo mio scritto è una famosa frase di San Giovanni della Croce, carmelitano e mistico spagnolo del ‘500, al tempo della grande Teresa d’Avila, di cui fu discepolo e poi direttore spirituale, di Ignazio di Loyola, di Francesco Saverio; e in Italia, di Carlo Borromeo, di Filippo Neri, Roberto Bellarmino … Egli, infatti, fu maltrattato, umiliato e segregato in un’angusta prigione, con poca luce e molto freddo. Nove mesi di reclusione: a pane e acqua (e qualche sardina), con una sola tonaca che gli marciva addosso, con il supplemento di sofferenza (flagellazione) ogni venerdì nel refettorio davanti a tutti. Divorato dalla fame e dai pidocchi, consumato dalla febbre e dalla debolezza e dimenticato da tutti (tranne che da S. Teresa), in una situazione che per molti versi e per molte persone poteva essere di collasso psico-fisico e di naufragio spirituale, Giovanni della Croce compose, con materiale biblico (perlopiù a memoria, perché gli avevano lasciato solo il breviario), le più calde e trascinanti poesie d’amore, ricche di sentimenti, di immagini e di simboli. Vivendo in Dio e di Dio anche in quelle circostanze, egli attingeva così a Lui, fonte perenne di ogni novità e creatività, “anche se attorno era notte”. La frase che ho citato come titolo è tratta da una lettera che il Santo inviò in risposta ad una monaca, la quale lo compassionava per come era stato maltrattato: “Non pensi ad altro se non che tutto è disposto da Dio. E dove non c’è amore, metta amore e ne riceverà amore”. Così le rispose il Santo. Io credo che il suggerimento di San Giovanni vada bene ancora oggi, e per ogni stato di vita: dove non c’è amore, metti amore e ne riceverai amore. Va bene per i coniugi, che spesso si trovano a vivere in situazioni in cui l’amore di un tempo sembra svanito. Va bene per i genitori, i quali, non di rado, in cambio di tutto ciò che fanno per i figli (anche dal punto di vista della trasmissione della fede), ricevono solo amarezze e delusioni. Va bene per gli anziani e i malati, che sono tentati di vivere questa stagione della vita solo in chiave negativa. Va bene per i giovani che spesso sono ripiegati su se stessi: solo “il mio studio”, solo il “mio sport”, solo i “miei allenamenti”, solo “i miei divertimenti”. Poveri giovani, che annegano nell’egoismo e perciò non maturano! Solo il “dono di sé” fa maturare (e il “dono di sé” se è episodico non serve a granché); solo la vittoria sul proprio egoismo apre spazi di “vita buona” per sé e per gli altri. Vale per i preti, che, a causa dell’errore di qualche confratello, a volte sono disprezzati e altre volte sono amareggiati, perché all’impegno e allo sforzo di trasmettere anche i soli aspetti basilari della fede cristiana e della vita comunitaria, corrisponde una messe piuttosto scarsa. Vale per gli operatori pastorali, che si vedono a volte caricati di tanti impegni, oltre a quelli della famiglia e del lavoro, e sono tentati di “sbuffare” o di “disertare”. Vale per quei datori di lavoro, che vogliono incarnare la dottrina sociale della Chiesa, e incontrano molti ostacoli. Vale per quei dipendenti, che vogliono lavorare essi pure secondo gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa, e a volte trovano che il “sistema” si mette per traverso. Vale per tutti! “Dove non c’è amore, metti amore e ne riceverai amore”. PROVIAMOCI TUTTI! PROVIAMOCI SEMPRE! PROVIAMOCI INSIEME!