Omelia del Parroco alla Messa della Notte di Natale 2022
Natale 2022 – Messa della notte
1. Il Natale, mistero avvolto dall’oscurità
I testi che abbiamo ascoltato parlano spesso di luce. Il profeta, nella prima lettura ci ha detto che “il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”; l’apostolo nella seconda lettura ha esclamato: “E’ apparsa la grazia”, espressione evocatrice di luce; e nel Vangelo abbiano udito che ai pastori “si presentò la gloria di Dio, che li avvolse di luce”. Eppure il mistero del Natale è sì luminoso in sé, ma è avvolto dall’oscurità. “E’ importante perciò anche ricordare il contesto oscuro in cui tutto ciò avviene. Un viaggio faticoso da Nazaret a Gerusalemme per soddisfare la vanità di un imperatore, le pesanti ripulse ricevute da Giuseppe che cerca un posto dove possa nascere il bambino, il freddo della notte, il disinteresse con cui il mondo accoglie il figlio di Dio che nasce. E su tutto questo grava una pesante cappa di grigiore, di incredulità, di superficialità e di scetticismo, evidenziata nelle gravissime ingiustizie presenti allora nel mondo. Non si può dire che il contesto del primo Natale fosse un contesto di luce e di serenità, ma piuttosto di oscurità e di dolore” (Martini).
E viene spontaneo riflettere sul fatto che anche il nostro Natale, quello che qui celebriamo insieme, in questo punto luminoso che è la nostra chiesa, allietati dai canti e dalla bellezza della liturgia, è circondato dall’oscurità. Pensiamo ai postumi della pandemia con lo strascico di problemi di salute, psicologici, economici, resi – questi ultimi – ancora più gravi dalla crisi energetica. Pensiamo all’insensata e fratricida guerra non molto lontano da noi, così come a tutti i conflitti in atto, che – messi insieme – davvero possono essere chiamati – come spesso fa il Papa – una terza guerra mondiale a pezzetti. Pensiamo anche a ciò che sta succedendo in Iran dove l’intolleranza religiosa si scaglia con violenza contro le donne, che giustamente aspirano a condizioni di vita in cui la loro dignità sia rispettata e loro stesse siano valorizzate, così come contro i giovani – alcuni appena adolescenti – scesi nelle piazze a sostenere la protesta. Pensiamo a ciò che sta succedendo in Cina e in Nicaragua dove il regime perseguita la Chiesa, vessando i suoi pastori perché difendono la libertà religiosa o la dignità dei loro popoli. Ma pensiamo anche a ciò che continua a succedere nei nostri mari, diventati la tomba di tanti fratelli e sorelle, ad opera di organizzazioni senza scrupolo, spesso con la complicità o il colpevole disinteresse dei governi delle nazioni di origine, insieme alla mancanza di seria volontà di gestire i flussi migratori tramite politiche integrate a livello europeo. E pensiamo al persistere della corruzione in forme tanto gravi da investire coloro che, sedendo nel parlamento di Bruxelles, hanno avuto il mandato di promuovere una maggiore armonia sociale, politica ed economica tra le nazioni dell'Europa occidentale. E pensiamo pure alla stoltezza che muove menti ed energie a sostenere ancora la pratica dell’aborto, chiamato addirittura diritto, quando altro non è che un delitto, oppure l’eutanasia, che ha visto solo qualche settimana fa uno dei suoi più accesi sostenitori insignito addirittura della più altra onorificenza della città di Milano. E pensiamo per finire ai fautori di vite disgregate, che sono anche tra noi, favorendo l’uso della droga, dell’alcol e del gioco d’azzardo. Quanto buio, intorno al mistero del Natale.
2. Che cosa è cambiato nel mondo col Natale?
E allora un pensiero – che è più propriamente una tentazione – si può insinuare nella nostra mente: che cosa ha portato al mondo il Natale del Signore se il buio che avvolgeva la sua nascita duemila anni fa non si è dissipato, ma è rimasto lo stesso, anzi sembra più fitto?
E’ una domanda formidabile, alla quale non si può fornire una risposta compiuta in questo momento.
Il testo biblico che abbiano ascoltato affida a noi una parola che contiene dei fatti e dei criteri contemplando i quali e seguendone le indicazioni possiamo capire il senso di celebrare il Natale oggi.
Primo criterio: il ribaltamento della prospettiva. Se avete fatto attenzione, nel testo si citano alcuni personaggi partendo da quello più importante per arrivare a quello meno rilevante. Si parte dall’imperatore che viene chiamato Cesare Augusto, e che è precisamente Ottaviano Augusto, che siede a Roma sul Palatino e governa tutta la terra fino allora conosciuta; poi, scendendo si parla di Quirino, governatore della Siria; poi di Giuseppe, il capofamiglia, quindi di Maria, che come tutte le donne, allora, era tenuta in poca considerazione; si parla poi dei pastori – personaggi disprezzati all’epoca, ritenuti poco di buono, tanto che nel Talmud si legge che se cade una pecora nel pozzo tirala su, se ci cade un pastore lascialo lì – e alla fine si parla anche del bambino. Un bambino: nella cultura del tempo non valeva nulla. Il Vangelo ci invita a ribaltare la prospettiva. A partire da quel Bambino, che ha bisogno di tutto, si ricomincia a ricostruire il pensiero e l’azione. E’ quello che tanti cristiani lungo la storia hanno fatto e continuano a fare, senza clamore. Partire dall’ultimo, ripercorrere il corsus honorum al contrario. Non è vero che il Natale non ha prodotto nulla nel mondo: ha cambiato le priorità e l’ordine di importanza. E continua anche oggi, anche questo Natale, a chiederci di ripartire da qui. Oggi noi non possiamo – per esempio – fermare la guerra in Ucraina, ma possiamo contribuire a far crescere una mentalità affinché le guerre non abbiano più diritto di cittadinanza. Ricordo il grido – e fu veramente un grido – del papa Giovanni Paolo II durante la guerra in Bosnia: “Fermatevi davanti al bambino!” Fermarsi davanti alla piccolezza, alla vita indifesa, alla vita che vive stagioni di precarietà, ad ogni vita. Il Natale ci rieduca a questo. Come hanno fatto tanti nostri fratelli e sorelle prima di noi, in questi duemila anni di cristianesimo, ripartiamo da questa piccolezza, che è la vera grandezza.
Il secondo criterio è quello dell’adesione alla realtà. Parlando giovedì scorso alla Curia Romana, il Papa ha detto: “L’umiltà del figlio di Dio che viene nella nostra condizione umana è per noi scuola di adesione alla realtà. Così come Egli sceglie la povertà, che non è semplicemente assenza di beni, ma essenzialità, allo stesso modo ognuno di noi è chiamato a ritornare all’essenziale della propria vita, per buttare via tutto ciò che è superfluo e che può diventare impedimento nel cammino di santità. E questo cammino di santità non va negoziato”.
Del “superfluo” dunque non fanno parte solo i beni materiali. Ci sono altre cose di cui il Natale ci invita a sbarazzarci. Per indicare questo superfluo, prendo in prestito le parole del vescovo Tonino Bello negli scomodi auguri di Natale rivolte ai suoi diocesani circa vent’anni fa: “Gesù che nasce per amore – scrisse – vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio. (…). Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo strumento delle vostre scalate. Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza (ipocrita) accetterà che il bidone della spazzatura, l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa. Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro. Gli angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che poco più lontano di una spanna, con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfratta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano popoli allo sterminio della fame. I poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere “una gran luce” dovete partire dagli ultimi. Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili. (…) Che i ritardi dell’edilizia popolare sono atti di sacrilegio, se provocati da speculazioni corporative. I pastori che vegliano nella notte, “facendo la guardia al gregge”, e scrutano l’aurora, vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio. E vi ispirino il desiderio profondo di vivere poveri che è poi l’unico modo per morire ricchi”.
Certo sono parole molto dure, parole di un profeta dei nostri tempi. Ma è bene a Natale essere un po’ feriti, per sentire che è una cosa vera e che tanti discepoli di Gesù, lungo la storia, hanno preso il Natale sul serio.
3. L’Eucaristia
Ora celebriamo l’Eucaristia: sul nostro altare ancora si rende presente il Signore e si rende presente nella stessa logica della mangiatoia della grotta dove fu deposto dopo la sua nascita. Accogliamolo in noi, perché senza di lui ci rimane il freddo della notte, l’ansia del domani, il rimorso del bene non fatto.