PREGHIERE E LACRIME PER UN MONDO MALATO

  • 20/03/2022
  • Don Gabriele

PREGHIERE E LACRIME PER UN MONDO MALATO

Da Avvenire del 24 febbraio 2022, riprendo alcune parti di un articolo di don Maurizio Patriciello.

«Pensavamo di essere sani in un mondo malato». Con queste parole papa Francesco si rivolse al mondo quella triste sera del 27 marzo di due anni fa, quando la pandemia ci teneva prigionieri in casa. Un mondo malato di egoismo, di stoltezza, di orgoglio personale, familiare, comunitario. Dopo tanta sofferenza regalataci a piene mani da un virus invisibile e cattivo, avevamo sperato di essere diventati più buoni, più umili, più fratelli. Sarebbe stata, in verità, l’unica cosa sensata da fare. La pandemia, sottraendoci – almeno per qualche tempo – a quella quotidianità che non sappiamo apprezzare e rendiamo noiosa, ripetitiva, scialba, ci aveva catapultati nelle alte sfere della riflessione seria. Chi è l’uomo? Chi sono io, uomo, donna? Che cosa è la Patria? Quanto amo la mia e quella altrui? Non è ancora passato il pericolo, siamo ancora sotto la minaccia di questo microscopico e terribile nemico, ed ecco gli uomini, stolti come già tante altre volte, si preparano a sbranarsi. (…). La guerra. Che cos’è la guerra? Che cosa sono state le guerre? Chi la vuole la guerra? Di certo è distruzione. Di tutto, non solo di cose e di persone. È distruzione di speranza. Secoli di pensiero, di riflessione, di studi, di pazienza, nel cercare di trovare l’indispensabile modo di vivere insieme senza farci male, ma godendo dei successi, della bellezza e della grandezza altrui, vengono spazzati via nel giro di poche ore. Certo, perché la guerra ci riguarda tutti, chi vive sui luoghi dove comandano le armi e chi, altrove, s’illude di farla franca. La guerra dice incapacità di dialogo. Incapacità di sentirsi, se non fratelli, almeno compagni di viaggio di questa avventura unica e preziosa che è la vita. La guerra sarà sempre e soltanto «inutile strage». La guerra – ogni guerra – sempre approderà sulle rive di un mare avvelenato dove «tutto è perduto». La pace. Va perseguita la pace. Ricercata, rincorsa, acciuffata, trattenuta. (…). La guerra distrugge la possibilità della convivenza presente e futura. Distrugge l’educazione dei bambini, degli adolescenti, dei giovani. Con quale coraggio continueremo a chiedere ai piccoli di non fare i bulli e di rispettare gli amici, soprattutto quelli più deboli? Dove troveremo la forza per continuare a combattere le mafie assassine e sanguisughe se uno Stato, con tutti i poteri che gli sono stati conferiti o ha usurpato, per primo non riesce a dialogare con serenità e ricorre alla forza delle armi? I credenti pregano. (…). Pregano i credenti con le parole e con le lacrime. Implorano il Padre che è nei cieli e in ogni angolo della terra di evitare agli uomini di qualunque razza e condizione di finire sotto il giogo assurdo, spaventoso e illogico delle armi. Che cos’è la preghiera? Un ripiego? L’arma dei deboli, di chi, non avendo voce in capitolo, altro non sa fare se non chiedere a Dio di intervenire? Chi è l’uomo che prega? Può Dio, che da sempre, per il rispetto che porta alla libertà dell’uomo, tollera e soffre per le sue imprese vergognose, intervenire oggi? Entriamo nel mistero. Ai suoi, Gesù ha chiesto di pregare. E loro lo fanno. Lo facciamo. Vogliamo farlo. Ai suoi, Gesù promise di porre orecchio alle loro angosciate grida. E noi ci crediamo. E continuiamo a crederci anche quando i potenti di questo mondo, dimenticando il mandato ricevuto, e tappandosi le orecchie alle grida di paura di coloro sui quali esercitano il potere, fatti prigionieri di orgogliosi interessi economici e politici, non ascoltano più il grido dei poveri, che muoiono. La preghiera può fermare la guerra? Certo. Noi ci crediamo. Con quale modalità? Non lo sappiamo, e nemmeno ci interessa. Continuiamo a fidarci di Dio. «Non fa meraviglia che Santa Scolastica abbia avuto più potere del fratello S. Benedetto. Siccome secondo la parola di Giovanni "Dio è amore", fu molto giusto che potesse di più colei che più amò». Parola di san Gregorio Magno. Amiamo, allora. Spassionatamente. Seriamente. Concretamente. Amiamo senza perdere tempo a misurare il tempo e le parole. Non temiamo di soffrire. Questa sofferenza ci promuove a uomini. Amiamo e preghiamo”.

don Gabriele

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