PROFILO STORICO DI MONS. GIUSEPPE ANTONIO NOVASCONI A 150 ANNI DALLA MORTE.
Nacque il 23 luglio 1798 a Castiglione d’Adda, da Pietro e da Teresa Squassi, primo di cinque figli La famiglia era d’estrazione borghese, impegnata civilmente – il padre ricoprì incarichi municipali – e di radicate convinzioni di fede. Nel 1812 entrò nel seminario di Lodi. Ordinato sacerdote il 7 ottobre 1821, insegnò grammatica e filosofia nel seminario diocesano sino al 1831, quando divenne arciprete e vicario foraneo della collegiata dei Ss. Gervasio e Protasio di Maleo, ove operò durante l’epidemia di colera del 1836. Nel dicembre 1838 fu nominato arciprete della cattedrale di Lodi e in seguito esaminatore postsinodale, deputato (cioè membro della commissione di controllo) del seminario, e visitatore generale per le Scuole della dottrina cristiana. Nel dicembre 1844 abbandonò la parrocchia per farsi barnabita, ma la reazione della popolazione e le pressioni del vescovo lo indussero a desistere dal proposito. Oltre che a livello sacerdotale, la sua presenza si fece sentire anche a quello civile: durante i moti del 1848 svolse infatti opera di mediazione tra i cittadini lodigiani e il governo austriaco, invitando quest’ultimo alla clemenza verso gli insorti. Dopo una lunga vacanza della cattedra episcopale, al termine della prima guerra d’indipendenza, l’11 novembre 1849, Francesco Giuseppe lo nominò nuovo vescovo di Cremona. Pio IX lo preconizzò il 20 maggio 1850, il 30 giugno 1850 fu ordinato vescovo a Roma in S. Giovanni in Laterano e il 29 settembre successivo fece il proprio ingresso in diocesi. Sua prima preoccupazione fu la cura del seminario. Il 20 febbraio 1853 indisse la visita pastorale in diocesi e la terminò nel 1858. Nei confronti del governo austriaco, da un lato intervenne più volte presso Josef Radetzky prendendo le difese dei sacerdoti arrestati per attività antiaustriaca, che però esortò all’obbedienza verso l’autorità costituita; dall’altro, dimostrò benevolenza verso sacerdoti liberali. Lo scoppio della seconda guerra d’indipendenza costituì un punto di svolta nella sua vita. Dopo che il 12 giugno 1859 gli austriaci avevano abbandonato Cremona e il 16 giugno vi avevano fatto il proprio ingresso i franco-piemontesi, il 18 giugno scrisse una circolare al clero cremonese, manifestando il suo favore alla causa dell’unità italiana; lo stesso concetto ribadì nella lettera al popolo del 1° luglio successivo. Tuttavia, nonostante il 9 agosto 1859 Vittorio Emanuele II lo avesse nominato grand’ufficiale dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, appoggiò la pubblica protesta avanzata da Pio IX con la Maximo animi del 26 settembre 1859 – che denunciava la sottrazione dell’Emilia ai possedimenti dello Stato pontificio da parte di casa Savoia – sia in una circolare al clero del 18 novembre 1859 sia in una lettera personale indirizzata il 2 dicembre 1859 al Pontefice, che ne elogiò i sentimenti. Il 29 febbraio 1860 Vittorio Emanuele II lo nominò senatore del Regno, ma Novasconi – chiesto consiglio al Papa e ottenuto in risposta l’invito a interrogare la propria coscienza – non partecipò alla seduta inaugurale della proclamazione del Regno d’Italia del 17 marzo 1861. Nel complesso, sia verso il governo piemontese sia verso quello del nuovo Regno d’Italia mantenne una posizione di mediazione, cercando un punto dì incontro ed equilibrio tra i diversi indirizzi manifestati dal clero sugli avvenimenti politici in corso. Non rinunciò a denunciare a più riprese la politica anticlericale del nuovo governo, attraverso lettere – riportate dai giornali – nelle quali rimproverava all’autorità la severità usata verso gli ambienti cattolici a seguito delle loro critiche, ben diversa rispetto alla tolleranza dimostrata verso quanti umiliavano la Chiesa e il papato, ma, d’altra parte fu l’unico vescovo del nord Italia a celebrare la festa nazionale, fissata nel 1861 alla prima domenica di giugno. A tale stile di lealtà verso lo Stato e di difesa della libertà della Chiesa rimase fedele durante la terza guerra d’indipendenza, anche quando, il 22 maggio 1866, il seminario fu requisito per farne un ospedale – nonostante Novasconi avesse offerto ospitalità nello stesso episcopio – e fu confiscato tutto il patrimonio ecclesiastico della diocesi. Dal punto di vista dell’impegno caritativo, sostenne il nascente movimento cattolico e la società di mutuo soccorso fra gli operai di Cremona (costituita nel 1861 nel palazzo episcopale), così come le diverse istituzioni dedite alla formazione delle ragazze e dei ragazzi poveri, fondandone anche di nuove: le Scuole serali per i giovani operai, la Pia Casa per l’educazione dei discoli, la Scuola convitto per i sordomuti, la Società dei poveri vecchi, la Società dei discepoli della vera sapienza. A tale scopo chiamò a Cremona numerose congregazioni dedite alla carità (le suore di Maria Bambina, di S. Anna, le Ancelle della carità di Brescia, i Fatebenefratelli e i Camilliani), allontanate dal governo nel 1864. Sostenne anche le nuove fondazioni religiose diocesane: le suore di S. Dorotea e della Sacra Famiglia di Paola Elisabetta Cerioli, per la cura dei figli dei contadini, soprattutto orfani. Morì santamente a Cremona il 12 dicembre 1867.