Omelia del parroco per festa di San Luigi 2017

  • 23/06/2017
  • Don Gabriele

San Luigi

Castiglione 21 giugno 2017

1. L’anno scorso avevo tratteggiato brevemente la vita di S. Luigi. Quest’anno ricordo solo che è nato a Castiglione delle Stiviere il 9 marzo 1568 da potente e nobile famiglia, a 12 anni sceglie di lasciare il suo mondo, sentendosi sempre più inclinato alla vita religiosa, entrando, non senza resistenze da parte del padre, nel noviziato dei gesuiti a Roma. Conclude gli studi filosofici già iniziati brillantemente in Spagna e comincia il corso di teologia. Sta per terminare il quarto anno, quando la città di Roma viene colpita da una gravissima epidemia di peste, che in un anno conduce alla morte circa 10.000 persone, e Luigi si offre come volontario, soccombendo – se non al morbo – alle fatiche cui si era sottoposto per la cura dei malati. Si spegne il 21 giugno 1591 – 426 anni fa – ad appena 23 anni.

2. Sempre lo scorso anno avevamo meditato sulla centralità della fede nella vita di San Luigi, che gli ha fatto conoscere un Amore più grande, per il quale ha “lasciato perdere” innanzi tutto il successo che il suo mondo gli riservava e, in un secondo tempo, la gelosa salvaguardia della vita, spendendosi per gli appestati. “Lasciar perdere” è un’espressione diciamo “tecnica”: la usa s. Paolo nella lettera ai filippesi, laddove afferma: “Ma quello che poteva essere per me un vantaggio, l’ho considerato una perdita, a motivo di Cristo”. Il coraggio di “lasciar perdere”, dunque, magari cose non cattive, ma inferiori ad un “di più” che urge dal cuore.

Perché è un giovane libero, S. Luigi a motivo di Cristo lascia perdere i privilegi dei suoi natali; perché è un giovane libero, S. Luigi a motivo di Cristo mette la sua vita a servizio degli appestati.

La libertà. Di essa ho già scritto sul notiziario parrocchiale di qualche settimana fa.

E’ stato detto: “Nessuna epoca come la nostra ha conosciuto una libertà individuale e di massa come quella che sperimentano i nostri giovani. Ma a questa nuova libertà non corrisponde nessuna promessa sull'avvenire. La vecchia generazione ha disertato il suo ruolo educativo e ha consegnato ai giovani una libertà mutilata. L'offerta incalzante di sempre nuove sensazioni si è moltiplicata quasi a parare l'assenza drammatica di prospettive nella vita. Ecco disegnato il ritratto del nuovo disagio della giovinezza: per un verso i nostri figli sono esposti ad un bombardamento continuo di stimolazioni e, per un altro verso, gli adulti evadono il compito educativo (…) la cui funzione sarebbe, oggi, se possibile, ancora più preziosa che nel passato dove l'educazione veniva garantita attraverso l'autorità della tradizione” (Massimo Recalcati, Scrivere il futuro; Repubblica 12-14 giugno 2012).

Questo doppio versante, il lasciarsi andare al bombardamento di stimolazioni cui si è sottoposti e l’evasione del compito educativo da parte degli adulti ha trovato una sua manifestazione recente anche fra noi. Qualche settimana fa, ho scritto sul notiziario parrocchiale una riflessione sulla libertà, che non è passata sotto silenzio, ma evidentemente non è stata capita: né da parte dei ragazzi né da parte dei genitori. So che se ne è discusso, ma nessuno fra i ragazzi e i genitori – tranne un caso – ha pensato fosse opportuno venirne a parlare. Non che gli adulti in generale non siano preoccupati per il futuro dei loro figli, ma la preoccupazione non coincide col prendersi cura. I genitori di oggi sono, infatti, assai preoccupati, ma la loro preoccupazione non è in grado di offrire sostegno alla formazione.

Sotto questo profilo, la Chiesa, nella sua dimensione locale che è la parrocchia, è convinta di poter offrire un itinerario di maturazione della libertà personale tuttora valido.

Ma le famiglie devono dare credito alla parrocchia e alle sue proposte educative e collaborare con essa. Prendiamo l’oratorio. Sul notiziario parrocchiale che uscirà questa settimana ho scritto che l’Oratorio si costruisce intorno ad un’idea propulsiva: l’educazione delle giovani generazioni al senso cristiano della vita. Ciò significa che l’Oratorio ha una missione e un metodo: aggregazione, amicizia, relazione con Cristo, gioco (ivi compreso lo sport). L’aggregazione crea legami, relazioni, rende vivo l’ambiente, fa nascere “un luogo” di incontro e di condivisione. L’amicizia permette scambi di vita non banali, spesso dialetticamente costruttivi. La relazione con Cristo si realizza in un rapporto personale con lui nella preghiera, nella partecipazione abituale alla Messa festiva, nella confessione frequente, nella direzione spirituale con un sacerdote, nella catechesi … Il gioco, lo sport e il divertimento sono il momento in cui il corpo, l’agonismo, la gioia di vivere fanno percepire la bellezza della giovinezza. Da ciò si capisce che l’Oratorio non è un “contenitore”: è attraversato infatti da una tensione buona, che partendo dall’ “humanum”, cioè dalla vita concreta dei ragazzi, vuole avviare dei percorsi o, per dirla con papa Francesco, aprire dei processi.

Detto in altri termini, qui c’è un itinerario educativo, ed è il minimo chiedere non solo ai ragazzi ma anche alle loro famiglie di condividerlo e di supportarlo. Sicché – per fare un esempio – se il parroco dice che per un gruppo di adolescenti trascorrere le vacanze da soli, senza programma e senza la presenza di adulti non è educativo, perché i ragazzi sono ancora fragili, non ci si dovrebbe scontrare con atteggiamenti di chiusura, quasi che le parole del pastore fossero offensive, ma si dovrebbe innescare un “circolo virtuoso”, tra famiglie e parrocchia, affinché i ragazzi scelgano ciò che effettivamente giova al loro bene.

Ma c’è un dato culturale che va tenuto in conto perché pesa sul ruolo educativo delle famiglie, ossia: “l'iperedonismo contemporaneo ha scomunicato il compito educativo come una cosa per moralisti. Di conseguenza, la libertà si è ridotta a fare quello che si vuole senza vincoli né debiti” (ib.). Ma una tale libertà non genera alcuna soddisfazione e si associa sempre più alla depressione. È qualcosa che incontriamo sempre più frequentemente nei giovani di oggi. Ma come? Hanno tutte le possibilità, più di qualunque generazione precedente? E sono depressi? Come si spiega? Si spiega col fatto che la loro libertà è in realtà una prigione perché è senza possibilità di avvenire.

In questa sera di S. Luigi chiedo a voi ragazzi e giovani di condividere in tutto la proposta educativa della parrocchia e dell’oratorio, perché vi offre una possibilità concreta per l’avvenire. Si diceva una volta che “la libertà va liberata”. Se la libertà non si libera si resta schiavi delle proprie voglie: e questa è davvero una prigione. Bisogna rendersene conto finché si è in tempo. Solo qualche giorno fa il Papa diceva che i “I nostri ragazzi cercano di essere e vogliono sentirsi – logicamente – protagonisti. Cercano in molti modi la ‘vertigine’ che li faccia sentire vivi. Dunque, diamogliela!”. “Stimoliamo tutto quello che li aiuta a trasformare i loro sogni in progetti, e che possano scoprire che tutto il potenziale che hanno è un ponte, un passaggio verso una vocazione, nel senso più ampio e bello della parola. (…). Proponiamo loro mete ampie, grandi sfide e aiutiamoli a realizzarle, a raggiungere le loro mete”. E poi ha aggiunto: “Non lasciamoli soli, sfidiamoli più di quanto loro ci sfidano”. E poi l’invito agli educatori: “Non lasciamo che la ‘vertigine’ la ricevano da altri, i quali non fanno che mettere a rischio la loro vita: diamogliela noi”. “Questo richiede – ha spiegato il Papa – di trovare educatori capaci di impegnarsi nella crescita dei ragazzi. Richiede educatori spinti dall’amore e dalla passione di far crescere in loro la vita dello Spirito di Gesù, di far vedere che essere cristiani esige coraggio ed è una cosa bella”.

Allora rimbocchiamoci tutti le maniche, non scoraggiamoci dinanzi alle chiusure, alle incomprensioni e alle critiche. Sappiamo che lavoriamo per il bene e cerchiamo di rendere questo bene sempre più intrigante.

Ci aiuti l’intercessione di S. Luigi, che ci indica Cristo come la grande scelta della vita. E Cristo non è lontano, perché nell’Eucaristia che ora celebriamo è accanto a noi, anzi stabilisce la sua dimora in noi. E dove c’è lui si sprigiona la vita, quella buona, che nessun altro è in grado di assicurarci.

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