VIA PULCHRITUDINIS - Eucaristia e Letteratura - Catechesi don F. Fonte - 3 maggio 2017

  • 05/05/2017
  • Don Gabriele

EUCARISTIA E LETTERATURA

Due scelte: alcuni aspetti del mistero eucaristico, un mistero onnicomprensivo, il Tutto è nel frammento, e solo alcuni letterati che si sono lasciati toccare da questo mistero.

PRAEPARATIO AD MISSAM

In Nodo di vipere (1932) Francois Mauriac (1885-1970) registra, come su un diario, i pensieri di Luigi, ricco e noto principe del foro parigino, ormai anziano e malato. L’avvocato rivela il suo fallimento e cerca di indagare con lucidità il senso del suo inferno quotidiano. Conosco il mio cuore, questo groviglio di vipere: soffocato da esse, saturo del loro veleno, continua a battere sotto le loro spire: questo groviglio di vipere che è impossibile sciogliere, che bisognerebbe tagliare con un colpo di coltello, con un colpo di spada. (FRANCOIS MAURIAC, Nodo di vipere, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1952, 120). Tutto comincia da una parola di Isa, la moglie, pronunciata durante la notte. Rodolfo dice la donna nel sonno, il nome di un giovane conosciuto quand’era ancora collegiale. Luigi si convince di non essere amato e inizia a odiare. L’odio si trasforma in una guerra aperta che trascina figli e nipoti. Tutta l’opera di Mauriac è affollata di mostri, assassini, lussuriosi, invidiosi, bugiardi, ingordi. Sono figure reali, ma in fondo siamo noi, o meglio saremmo potuti esserlo. Per Mauriac l‘uomo è un pellegrino decaduto che ha smarrito la meta ed è vittima della noia e della disperazione. C’è sempre colpo di scena: anche il mostro più ignobile ha un’anima che la Grazia fa rivivere. Luigi alle volte sente amore attorno a sé e l’esperienza gratuita ed imprevista di amore suscita amore.

Ti saresti stupita se ti avessi detto che provavo una specie di dolcezza alla presenza di quell’uomo in tonaca! Eppure era vero.

Quando mi capitava di alzarmi allo spuntar del sole e di scendere giù per respirare l’aria fresca dell’alba, ve-devo l’abate partire per la sua messa a passo svelto e così assorto che, a volte, passava a pochi metri da me senza vedermi. Era l’epoca in cui ti schernivo, in cui facevo di tutto per coglierti in fallo ad ogni istante e met-terti in contraddizione con i tuoi principi. Ma non avevo la coscienza tranquilla. Ogni qualvolta ti coglievo in flagrante per la tua avarizia o per la tua severità, fingevo di credere che non fosse più rimasta in voi alcuna traccia dello spirito di Cristo; non ignoravo; che sotto il mio tetto, un uomo viveva, secondo quello spirito, all’insaputa di tutti.

(FRANCOIS MAURIAC, Nodo di vipere, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1952, 87)

Colpisce lo spirito di osservazione e la finezza spirituale di quell’uomo ritenuto da tutti un massone, sfegatato anticlericale. Luigi avverte una strana sensazione di dolcezza davanti al giovane precettore ecclesiastico dei suoi figli, l’abate Arduino. All’alba, prima della Messa, il giovane abate è già immerso nel grande mistero e trasuda Bellezza: è la bellezza di un amore arcano, sconosciuto al mondo, Altro …

[…] stando così immoto a sedere, senti arrivarsi all’orecchio come un’onda di suono non bene espresso, ma che pure aveva un non so che d’allegro. Stette attento, e riconobbe uno scampanare a festa lontano. […] Che allegria c’è? Cos’hanno di bello tutti costoro? (ALESSANDRO MANZONI, I Promessi sposi, Newton and Compton editori s.r.l., Roma 1989, 327)

È la stessa esperienza di bellezza che fa l’Innominato che ode le campane annunciare con gioia la messa del Cardinale. Il suono delle campane nei Promessi Sposi è epifania della grazia. La bellezza vera è un’esperienza che si vede e si ode. Nella Sacrosantum Conciluim al numero 34, questa bellezza che si riflette nella celebrazione del mistero di Cristo, è definita nobile e semplice. È bellezza da ricercare con impegno e fatica (gesti, immagini, suoni, arredi …) è bellezza che non può violentare la storia della comunità cristiana, perché è antica e al contempo nuova. È soprattutto bellezza che riflette la Bellezza di Dio: è misterium lunae.

L’amore ricevuto da Luigi, dalla piccola figlia Maria, dal nipote Luca, dall’Abate Arduino e alla fine addirittura Isa, riaccende l’amore. Luigi si rende conto che la guerra è finita. Ora confessa: è proprio quando mi sento più lucido di mente che la tentazione cristiana mi tormenta. Non posso negare che esiste in me una tendenza che potrebbe condurmi al tuo Dio. […] Mi credi, Isa? Forse non è per voi, giusti, che il tuo Dio è venuto, se Egli è venuto, ma per noi. (FRANCOIS MAURIAC, Nodo di vipere, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1952, 217) Luigi riesce a dare un nome a quell’amore arcano e passa dal Dio di Isa, implacabile e giansenista, al Dio del vero amore, Deus caritas est.

ORDO MISSAE

Nel 1939 Graham Greene (190-1970), di ritorno da un viaggio in Messico, scrive il romanzo Il potere e la gloria. Non ha neppure un nome l’'ultimo prete sopravvissuto, è il prete spugna: alcolista, ladro, a tratti simoniaco e, per giunta, padre di Brigitta, avuta da Maria, sua parrocchiana. Il Santo Ufficio storce il naso davanti a questo racconto, ma monsignor Montini riesce a stemperare. Questo prete fugge, scappa senza posa da una spietata caccia all'uomo da parte del governo. Sono gli anni a ridosso della rivolta dei Cristeros. la sollevazione messicana, tra 1926-1929, contro il governo anticlericale di Calles. (Cfr. San Josè Sanchez del Rio).

Il prete spugna arriva nel suo villaggio d’un tempo, ma è accolto con freddezza. Celebra la Messa prima dell’alba in una lurida capanna. I governativi sono sulle sue tracce, ad un miglio di distanza.

Nella luce scarsa, distinse vagamente due uomini inginocchiati con le braccia aperte nel gesto della croce; sarebbero rimasti in quella posa sino alla fine della Consacrazione: un’ulteriore mortificazione spremuta fuori da una vita dura e penosa. Provò una grande vergogna davanti alla sofferenza che quegli uomini qualunque sopportavano volontariamente: la sua era imposta. […]

Cornelii, Cypriani, Laurentii, Chrysogoni … tra poco la polizia sarebbe sbucata nella radura […] Le parole latine gli si accavallavano sulla lingua frettolosa: sentiva l’impazienza stringerlo tutt’attorno. Incominciò la consacrazione dell’ostia (un pezzo di pane proveniente dal forno di Maria: aveva finito da tempo le particole), e l’impazienza svanì di colpo; tutto, con il tempo, diventa meccanico, ma non questo: “Egli, nella notte che fu tradito, prese del pane con le sue Sante mani …”. Chiunque, si muovesse fuori sul sentiero nella foresta, là dentro non c’era un solo movimento. “Hoc est enim Corpus Meum …”. Sentì il sibilo dei respiri fino allora trattenuti: per la prima volta dopo sei anni, Dio era presente con il suo Corpo. Quando sollevò l’Ostia consacrata, poteva immaginare le facce levarsi come cani affamati. Incominciò a consacrare il vino in una tazza sbreccata […]. La consacrazione proseguì nel silenzio, senza scampanellii. Il prete s’inginocchiò davanti alla cassa, esausto, senza una preghiera. La porta si aprì di nuovo. Una voce bisbigliò con urgenza: “Sono già qui”. […] Il prete si mise frettolosamente in bocca l’ostia e bevve il vino: bisognava impedire la profanazione; la tovaglia fu strappata dalla cassa. Maria pizzicò lo stoppino delle candele perché non lasciassero odore …

(GRAHAM GREENE, Il potere e la gloria, Oscar Mondadori, Milano 2000, 79-83)

Il rito passa veloce e meccanico, l’omelia è senza trasporto, dubbiosa e incespicata, ma alla Consacrazione tutto è concentrazione, fluire immobile ed eterno del tempo, attesa palpabile e adorante. Greene racconta in questo modo la presenza reale di Dio, anzi la sua presenza di sommo grado, la massima epifania di Dio sulla terra.

I soldati sono vicini, troppo vicini, l’afa della notte è insopportabile, la stanchezza di tutti palpabile e poi c’è Maria a ricordare che il prete è in peccato mortale. Greene spiega così l’ex opere operato (letteralmente per il fatto stesso di aver fatto la cosa). I sacramenti, dice il Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 1128, agiscono ex opere operato, cioè in virtù dell'opera di Cristo, compiuta una volta per tutte. Ne consegue che il sacramento non è realizzato dalla giustizia dell'uomo che lo conferisce o lo riceve, ma dalla potenza di Dio». Quando un sacramento viene celebrato in conformità all'intenzione della Chiesa, la potenza di Cristo e del suo Spirito agisce in esso e per mezzo di esso, indipendentemente dalla santità personale del ministro.

Lo scrittore non sono ci spiega la presenza reale e l’efficacia dei sacramenti, ma anche il senso autentico di quell’auctuosa participatio di cui parla la Sacrosantum Concilium al numero 48. In cosa consiste la vera partecipazione, attiva per l’appunto, dei fedeli al mistero di Cristo che accade nella celebrazione dei sacramenti e in particolare nella messa? Non assistano come estranei o muti spettatori, recita il concilio, siano istruiti nella Parola di Dio, prosegue il testo, siano ristorati (nutriti) alla mensa del corpo del Signore, (per ben 6 anni in quel villaggio non è celebrata l’Eucaristia) ma soprattutto, offrendo la vittima immacolata, imparino ad offrire sé stessi. Questo è il vero cuore della partecipazione attiva: oltre ogni protagonismo esagitato, si tratta di vivere alla maniera di Cristo, offrendo la propria vita al Padre per la salvezza del mondo. In questo modo i peones partecipano a quella straordinaria Messa e in questo modo, alla fine del romanzo, il prete spugna compie il suo ministero sacerdotale.

POST COMMUNIO ovvero il Ringraziamento

Lucia Mondella è stata liberata dal castello dell’Innominato e viene condotta alla casa del sarto. Dopo la Messa del Cardinale Federigo, in visita pastorale da quelle parti, ha inizio il pranzo.

Il sarto cominciò, ai primi bocconi, a discorrere con grand’enfasi, in mezzo alle interruzioni de’ ragazzi, che mangiavano ritti intorno alla tavola, e che in verità avevano visto troppe cose straordinarie, per fare alla lunga la sola parte d’ascoltatori. Descriveva le cerimonie solenni, poi saltava a parlare della conversione miracolosa. Ma ciò che gli aveva fatto più impressione, e su cui tornava più spesso, era la predica del cardinale. […]

Qui interruppe il discorso da sé, come sorpreso da un pensiero. Stette un momento; poi mise insieme un piatto delle vivande ch'eran sulla tavola, e aggiuntovi un pane, mise il piatto in un tovagliolo, e preso questo per le quattro cocche, disse alla sua bambinetta maggiore: - piglia qui . Le diede nell'altra mano un fiaschetto di vino, e soggiunse: - va' qui da Maria vedova; lasciale questa roba, e dille che è per stare un po' allegra co' suoi bambini. Ma con buona maniera, ve'; che non paia che tu le faccia l'elemosina. E non dir niente, se incontri qualcheduno; e guarda di non rompere.

(ALESSANDRO MANZONI, I Promessi sposi, Newton and Compton editori s.r.l., Roma 1989, 365-366)

Il sarto e i suoi bambini raccontano un’esperienza profondo (sono coinvolti la vista, l’udito … il sembiante aureo e ieratico del cardinale e la sua parola evangelica che suscita il pianto). Quest’esperienza incide sulla coscienza e suscita un’azione libera. Le 4 istruzioni del sarto alla piccina, segno d’impareggiabile finezza umana e spirituale (dille che è per stare un po' allegra / con buona maniera, ve'; non paia che tu le faccia l'elemosina / non dir niente / e guarda di non rompere) ci dicono che non siamo di fronte al passaggio di cibi da una tavola all’altra (logica della filantropia/solidarietà) ma ad un autentico atto di carità. Deus caritas est: la carità consiste nel condividere l’esperienza di Dio e del suo amore gratuito, immeritato, traboccante e illogico. L’Eucaristia, il sacramento della carità suscita la carità. Il dono va condiviso con parole e gesti. Questa è la logica eucaristica.

La stessa logica, ritorna, in una pagina struggente di Antonia Arslan. Un vecchio prete greco sceglie liberamente di accompagnare le donne armene e i loro figli e viene ucciso da un’incursione dei Curdi, durante la grande marcia verso il deserto, nel Genocidio armeno. “Presto, presto” dice Shushanig “tiriamo giù il prete e seppelliamolo qui, che è terra consacrata.” Tutto il prato freme di preghiere; tutte si sentono ora orfane e sole di una solitudine irrimediabile. Piangono le madri, e mettono i corpicini dei figli tra le braccia del vecchio prete, e fra le sue mani congiunte la sua consunta croce, recuperata col laccio di cuoio spezzato ai piedi del platano. Gli hanno chiuso gli occhi, ricomposta la barba, rivestita la vecchia tonaca: ora Shushanig ordina a Veron e Azniv di raccogliere i fiori blu e viola che crescono fitti intorno alla vasca dell’acqua, che continua a fluire con il suo quieto leggero rumore, e di spargerli sul vecchio, e sui bambini, dopo averli bagnati nell’acqua benedetta. E sopra la croce pone una candela, che spegne con soffio deciso “Niente croce sopra la tomba, la strapperebbero via. Dio vede dove sono i suoi servi fedeli”. (ANTONIA ARSLAN, La masseria delle allodole, Rizzoli, Milano 2004, 145-146). È una lezione sacerdotale e quindi autenticamente eucaristica quella del prete ortodosso. Lezione che risuona nel rito romani do ordinazione dei presbiteri: “renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore”.

Manzoni alla tavola del sarto ha raccontato ancora una volta la grazia. Lui ex giansenista (il dibattito critico è annoso) si tuffa nella provvidenza di Dio, la provvida sventura, che è per tutti, ma proprio tutti, anche per la monaca di Monza. Non c’è pertanto predestinazione, ma l’uomo è sempre libero e i fili della provvidenza sono sempre tesi; spetta all’uomo aggrapparvisi. I sacramenti, con cui dio distribuisce la sua grazia, sono dono, non ricompensa per un merito, cui aderire con libertà.

MISSA AETERNA CHRISTI MUNERA … L’Eucaristia senza tramonto

Nel 1907 Benson (1871-1914) scrive il suo capolavoro Il padrone del mondo. Felsenburgh è il capo carismati-co (pacifista, ecologista, ecumenista …) del nuovo ordine mondiale, oggetto di un vero e proprio culto idola-trico. La Chiesa è ridotta a un lumicino e combattuta strenuamente. Roma è stata rasa al suolo. Il prete catto-lico londinese Percy Franklin, uno dei pochi rimasti, viene eletto papa col nome di Silvestro III e si ritira a Nazareth. Il cardinale di Mosca lo tradisce e svela il suo nascondiglio. Nel momento in cui tutte le forze dell'aviazione mondiale, comandate dal Presidente del Mondo in persona, convergono verso Nazareth ove il papa, sta celebrando messa coi suoi cardinali, passa la scena di questo mondo.

Il prete alzò la testa. Davanti all’altare, c’era una figura trasfigurata, avvolta in rossi paramenti: non sembrava che fosse fissa a terra, ma pareva piuttosto che fluttuasse sospesa in aria, tra il chiarore diffuso delle candele, con le sottili mani distese e lo zucchetto sui capelli bianchi. Un chierico, vestito anch’esso di bianco, era inginocchiato sul gradino. Kyrie eleison. Gloria in excelsis Deo … Pareva uno spettacolo di ombre quella celebrazione svolta davanti a lui; intuiva i movimenti, udiva il sussurrare della preghiera, ma percepiva solamente la luce che tutto fondeva in unità. […] Venne invece scosso dalle parole degli Atti degli Apostoli: “Quando giunse il giorno di Pentecoste …”. Allora gli tornò tutto alla memoria e capì. Quello era il giorno di Pentecoste! […]

Alla fine della messa, mentre il suo spirito umile si esaltava nella felicità di ricevere l’ultimo dono di Dio, si udì un grido, un improvviso clamore che si alzò dal corridoio. […]

Di nuovo, si volse all’altare. Là, come ben sapeva, tra lo splendore dei ceri, tutto era immerso nella pace. Il celebrante, che appariva come attraverso un recipiente di vetro colmo d’acqua, adorava in preghiera silenziosa il Verbo incarnato e il suo mistero. […] Il papa si alzò. Era una pallida visione, fra lo splendore della luce, con quel velo di seta che, dalle spalle, scendeva, in mirabili pieghe, avvolgendogli le mani. La sua fronte era china, nascosta dalla raggera dell’ostensorio e dall’ostia che essa custodiva. […] Attraverso lo spazio brillavano le sei fiaccole, lame di acciaio ben diritte, sospese in modo mirabile tra la terra e il cielo. Nel centro, lo splendore radioso del mistero di Dio fatto uomo … E di nuovo uno scoppio di tuono, lassù […] Tantum ergo sacramentum … […] Sì! Era giunta l’ora dell’Uomo, che Dio attendeva. Sul carro veloce veniva Colui, contro il quale erano state sì a lungo rivolte le sfide. […] Praestet fides supplementum, sensum defectui … Eccolo, il padrone del mondo. Genitori genitoque … Così finiva questo mondo. Così passava la sua gloria.

(ROBERT HUGH BENSON, Il Padrone del mondo, Jaca Bok, Milano 1987, 318-317)

Il rito della messa e l’adorazione eucaristica corrispondono passo per passo allo svolgersi degli ultimi eventi. Il segretario siro di papa Silvestro III comprende solo gradualmente, attraverso il rito e i suoi segni, gli accadimenti. Senza posa torna a guardare l’altare e ogni volta comprende!

È la verità dei Santi Segni: la liturgia ha in effetti un carattere propriamente performativo, vale a dire che realizza quello che dice. Nel caldo soffocante che non cessa mai, le candele sull’altare rivelano misteriosamente il giorno grande della Luce. La liturgia della Parola consente poi di contestualizzare gli eventi e soprattutto il nesso misterioso tra l’evento proclamato e il vissuto. Il tempo della liturgia è sempre quel presente in cui il passato e il futuro sono uniti in un unico abbraccio. La liturgia eucaristica realizza l’epifania per opera dello Spirito Santo nella nuova Pentecoste. Il culto eucaristico dopo la Messa, l’Adorazione, rivela la presenza di Dio: è il dato di fatto incontestabile dell’evento. Attraverso le strofe dell’inno del Tantum Ergo e la raggera argentata dell’ostensorio sull’altare passa la scena di questo mondo e si rivela la sua caducità.

L’Eucarestia è veramente il cielo sulla terra, lo sterminato mondo di Dio che si affaccia sull’angusto mondo degli uomini, palestra di sano e autentico realismo.

EUCARISTIA E LETTERATURA

Due scelte: alcuni aspetti del mistero eucaristico, un mistero onnicomprensivo, il Tutto è nel frammento, e solo alcuni letterati che si sono lasciati toccare da questo mistero.

PRAEPARATIO AD MISSAM

In Nodo di vipere (1932) Francois Mauriac (1885-1970) registra, come su un diario, i pensieri di Luigi, ricco e noto principe del foro parigino, ormai anziano e malato. L’avvocato rivela il suo fallimento e cerca di indagare con lucidità il senso del suo inferno quotidiano. Conosco il mio cuore, questo groviglio di vipere: soffocato da esse, saturo del loro veleno, continua a battere sotto le loro spire: questo groviglio di vipere che è impossibile sciogliere, che bisognerebbe tagliare con un colpo di coltello, con un colpo di spada. (FRANCOIS MAURIAC, Nodo di vipere, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1952, 120). Tutto comincia da una parola di Isa, la moglie, pronunciata durante la notte. Rodolfo dice la donna nel sonno, il nome di un giovane conosciuto quand’era ancora collegiale. Luigi si convince di non essere amato e inizia a odiare. L’odio si trasforma in una guerra aperta che trascina figli e nipoti. Tutta l’opera di Mauriac è affollata di mostri, assassini, lussuriosi, invidiosi, bugiardi, ingordi. Sono figure reali, ma in fondo siamo noi, o meglio saremmo potuti esserlo. Per Mauriac l‘uomo è un pellegrino decaduto che ha smarrito la meta ed è vittima della noia e della disperazione. C’è sempre colpo di scena: anche il mostro più ignobile ha un’anima che la Grazia fa rivivere. Luigi alle volte sente amore attorno a sé e l’esperienza gratuita ed imprevista di amore suscita amore.

Ti saresti stupita se ti avessi detto che provavo una specie di dolcezza alla presenza di quell’uomo in tonaca! Eppure era vero.

Quando mi capitava di alzarmi allo spuntar del sole e di scendere giù per respirare l’aria fresca dell’alba, ve-devo l’abate partire per la sua messa a passo svelto e così assorto che, a volte, passava a pochi metri da me senza vedermi. Era l’epoca in cui ti schernivo, in cui facevo di tutto per coglierti in fallo ad ogni istante e met-terti in contraddizione con i tuoi principi. Ma non avevo la coscienza tranquilla. Ogni qualvolta ti coglievo in flagrante per la tua avarizia o per la tua severità, fingevo di credere che non fosse più rimasta in voi alcuna traccia dello spirito di Cristo; non ignoravo; che sotto il mio tetto, un uomo viveva, secondo quello spirito, all’insaputa di tutti.

(FRANCOIS MAURIAC, Nodo di vipere, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1952, 87)

Colpisce lo spirito di osservazione e la finezza spirituale di quell’uomo ritenuto da tutti un massone, sfegatato anticlericale. Luigi avverte una strana sensazione di dolcezza davanti al giovane precettore ecclesiastico dei suoi figli, l’abate Arduino. All’alba, prima della Messa, il giovane abate è già immerso nel grande mistero e trasuda Bellezza: è la bellezza di un amore arcano, sconosciuto al mondo, Altro …

[…] stando così immoto a sedere, senti arrivarsi all’orecchio come un’onda di suono non bene espresso, ma che pure aveva un non so che d’allegro. Stette attento, e riconobbe uno scampanare a festa lontano. […] Che allegria c’è? Cos’hanno di bello tutti costoro? (ALESSANDRO MANZONI, I Promessi sposi, Newton and Compton editori s.r.l., Roma 1989, 327)

È la stessa esperienza di bellezza che fa l’Innominato che ode le campane annunciare con gioia la messa del Cardinale. Il suono delle campane nei Promessi Sposi è epifania della grazia. La bellezza vera è un’esperienza che si vede e si ode. Nella Sacrosantum Conciluim al numero 34, questa bellezza che si riflette nella celebrazione del mistero di Cristo, è definita nobile e semplice. È bellezza da ricercare con impegno e fatica (gesti, immagini, suoni, arredi …) è bellezza che non può violentare la storia della comunità cristiana, perché è antica e al contempo nuova. È soprattutto bellezza che riflette la Bellezza di Dio: è misterium lunae.

L’amore ricevuto da Luigi, dalla piccola figlia Maria, dal nipote Luca, dall’Abate Arduino e alla fine addirittura Isa, riaccende l’amore. Luigi si rende conto che la guerra è finita. Ora confessa: è proprio quando mi sento più lucido di mente che la tentazione cristiana mi tormenta. Non posso negare che esiste in me una tendenza che potrebbe condurmi al tuo Dio. […] Mi credi, Isa? Forse non è per voi, giusti, che il tuo Dio è venuto, se Egli è venuto, ma per noi. (FRANCOIS MAURIAC, Nodo di vipere, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1952, 217) Luigi riesce a dare un nome a quell’amore arcano e passa dal Dio di Isa, implacabile e giansenista, al Dio del vero amore, Deus caritas est.

ORDO MISSAE

Nel 1939 Graham Greene (190-1970), di ritorno da un viaggio in Messico, scrive il romanzo Il potere e la gloria. Non ha neppure un nome l’'ultimo prete sopravvissuto, è il prete spugna: alcolista, ladro, a tratti simoniaco e, per giunta, padre di Brigitta, avuta da Maria, sua parrocchiana. Il Santo Ufficio storce il naso davanti a questo racconto, ma monsignor Montini riesce a stemperare. Questo prete fugge, scappa senza posa da una spietata caccia all'uomo da parte del governo. Sono gli anni a ridosso della rivolta dei Cristeros. la sollevazione messicana, tra 1926-1929, contro il governo anticlericale di Calles. (Cfr. San Josè Sanchez del Rio).

Il prete spugna arriva nel suo villaggio d’un tempo, ma è accolto con freddezza. Celebra la Messa prima dell’alba in una lurida capanna. I governativi sono sulle sue tracce, ad un miglio di distanza.

Nella luce scarsa, distinse vagamente due uomini inginocchiati con le braccia aperte nel gesto della croce; sarebbero rimasti in quella posa sino alla fine della Consacrazione: un’ulteriore mortificazione spremuta fuori da una vita dura e penosa. Provò una grande vergogna davanti alla sofferenza che quegli uomini qualunque sopportavano volontariamente: la sua era imposta. […]

Cornelii, Cypriani, Laurentii, Chrysogoni … tra poco la polizia sarebbe sbucata nella radura […] Le parole latine gli si accavallavano sulla lingua frettolosa: sentiva l’impazienza stringerlo tutt’attorno. Incominciò la consacrazione dell’ostia (un pezzo di pane proveniente dal forno di Maria: aveva finito da tempo le particole), e l’impazienza svanì di colpo; tutto, con il tempo, diventa meccanico, ma non questo: “Egli, nella notte che fu tradito, prese del pane con le sue Sante mani …”. Chiunque, si muovesse fuori sul sentiero nella foresta, là dentro non c’era un solo movimento. “Hoc est enim Corpus Meum …”. Sentì il sibilo dei respiri fino allora trattenuti: per la prima volta dopo sei anni, Dio era presente con il suo Corpo. Quando sollevò l’Ostia consacrata, poteva immaginare le facce levarsi come cani affamati. Incominciò a consacrare il vino in una tazza sbreccata […]. La consacrazione proseguì nel silenzio, senza scampanellii. Il prete s’inginocchiò davanti alla cassa, esausto, senza una preghiera. La porta si aprì di nuovo. Una voce bisbigliò con urgenza: “Sono già qui”. […] Il prete si mise frettolosamente in bocca l’ostia e bevve il vino: bisognava impedire la profanazione; la tovaglia fu strappata dalla cassa. Maria pizzicò lo stoppino delle candele perché non lasciassero odore …

(GRAHAM GREENE, Il potere e la gloria, Oscar Mondadori, Milano 2000, 79-83)

Il rito passa veloce e meccanico, l’omelia è senza trasporto, dubbiosa e incespicata, ma alla Consacrazione tutto è concentrazione, fluire immobile ed eterno del tempo, attesa palpabile e adorante. Greene racconta in questo modo la presenza reale di Dio, anzi la sua presenza di sommo grado, la massima epifania di Dio sulla terra.

I soldati sono vicini, troppo vicini, l’afa della notte è insopportabile, la stanchezza di tutti palpabile e poi c’è Maria a ricordare che il prete è in peccato mortale. Greene spiega così l’ex opere operato (letteralmente per il fatto stesso di aver fatto la cosa). I sacramenti, dice il Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 1128, agiscono ex opere operato, cioè in virtù dell'opera di Cristo, compiuta una volta per tutte. Ne consegue che il sacramento non è realizzato dalla giustizia dell'uomo che lo conferisce o lo riceve, ma dalla potenza di Dio». Quando un sacramento viene celebrato in conformità all'intenzione della Chiesa, la potenza di Cristo e del suo Spirito agisce in esso e per mezzo di esso, indipendentemente dalla santità personale del ministro.

Lo scrittore non sono ci spiega la presenza reale e l’efficacia dei sacramenti, ma anche il senso autentico di quell’auctuosa participatio di cui parla la Sacrosantum Concilium al numero 48. In cosa consiste la vera partecipazione, attiva per l’appunto, dei fedeli al mistero di Cristo che accade nella celebrazione dei sacramenti e in particolare nella messa? Non assistano come estranei o muti spettatori, recita il concilio, siano istruiti nella Parola di Dio, prosegue il testo, siano ristorati (nutriti) alla mensa del corpo del Signore, (per ben 6 anni in quel villaggio non è celebrata l’Eucaristia) ma soprattutto, offrendo la vittima immacolata, imparino ad offrire sé stessi. Questo è il vero cuore della partecipazione attiva: oltre ogni protagonismo esagitato, si tratta di vivere alla maniera di Cristo, offrendo la propria vita al Padre per la salvezza del mondo. In questo modo i peones partecipano a quella straordinaria Messa e in questo modo, alla fine del romanzo, il prete spugna compie il suo ministero sacerdotale.

POST COMMUNIO ovvero il Ringraziamento

Lucia Mondella è stata liberata dal castello dell’Innominato e viene condotta alla casa del sarto. Dopo la Messa del Cardinale Federigo, in visita pastorale da quelle parti, ha inizio il pranzo.

Il sarto cominciò, ai primi bocconi, a discorrere con grand’enfasi, in mezzo alle interruzioni de’ ragazzi, che mangiavano ritti intorno alla tavola, e che in verità avevano visto troppe cose straordinarie, per fare alla lunga la sola parte d’ascoltatori. Descriveva le cerimonie solenni, poi saltava a parlare della conversione miracolosa. Ma ciò che gli aveva fatto più impressione, e su cui tornava più spesso, era la predica del cardinale. […]

Qui interruppe il discorso da sé, come sorpreso da un pensiero. Stette un momento; poi mise insieme un piatto delle vivande ch'eran sulla tavola, e aggiuntovi un pane, mise il piatto in un tovagliolo, e preso questo per le quattro cocche, disse alla sua bambinetta maggiore: - piglia qui . Le diede nell'altra mano un fiaschetto di vino, e soggiunse: - va' qui da Maria vedova; lasciale questa roba, e dille che è per stare un po' allegra co' suoi bambini. Ma con buona maniera, ve'; che non paia che tu le faccia l'elemosina. E non dir niente, se incontri qualcheduno; e guarda di non rompere.

(ALESSANDRO MANZONI, I Promessi sposi, Newton and Compton editori s.r.l., Roma 1989, 365-366)

Il sarto e i suoi bambini raccontano un’esperienza profondo (sono coinvolti la vista, l’udito … il sembiante aureo e ieratico del cardinale e la sua parola evangelica che suscita il pianto). Quest’esperienza incide sulla coscienza e suscita un’azione libera. Le 4 istruzioni del sarto alla piccina, segno d’impareggiabile finezza umana e spirituale (dille che è per stare un po' allegra / con buona maniera, ve'; non paia che tu le faccia l'elemosina / non dir niente / e guarda di non rompere) ci dicono che non siamo di fronte al passaggio di cibi da una tavola all’altra (logica della filantropia/solidarietà) ma ad un autentico atto di carità. Deus caritas est: la carità consiste nel condividere l’esperienza di Dio e del suo amore gratuito, immeritato, traboccante e illogico. L’Eucaristia, il sacramento della carità suscita la carità. Il dono va condiviso con parole e gesti. Questa è la logica eucaristica.

La stessa logica, ritorna, in una pagina struggente di Antonia Arslan. Un vecchio prete greco sceglie liberamente di accompagnare le donne armene e i loro figli e viene ucciso da un’incursione dei Curdi, durante la grande marcia verso il deserto, nel Genocidio armeno. “Presto, presto” dice Shushanig “tiriamo giù il prete e seppelliamolo qui, che è terra consacrata.” Tutto il prato freme di preghiere; tutte si sentono ora orfane e sole di una solitudine irrimediabile. Piangono le madri, e mettono i corpicini dei figli tra le braccia del vecchio prete, e fra le sue mani congiunte la sua consunta croce, recuperata col laccio di cuoio spezzato ai piedi del platano. Gli hanno chiuso gli occhi, ricomposta la barba, rivestita la vecchia tonaca: ora Shushanig ordina a Veron e Azniv di raccogliere i fiori blu e viola che crescono fitti intorno alla vasca dell’acqua, che continua a fluire con il suo quieto leggero rumore, e di spargerli sul vecchio, e sui bambini, dopo averli bagnati nell’acqua benedetta. E sopra la croce pone una candela, che spegne con soffio deciso “Niente croce sopra la tomba, la strapperebbero via. Dio vede dove sono i suoi servi fedeli”. (ANTONIA ARSLAN, La masseria delle allodole, Rizzoli, Milano 2004, 145-146). È una lezione sacerdotale e quindi autenticamente eucaristica quella del prete ortodosso. Lezione che risuona nel rito romani do ordinazione dei presbiteri: “renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore”.

Manzoni alla tavola del sarto ha raccontato ancora una volta la grazia. Lui ex giansenista (il dibattito critico è annoso) si tuffa nella provvidenza di Dio, la provvida sventura, che è per tutti, ma proprio tutti, anche per la monaca di Monza. Non c’è pertanto predestinazione, ma l’uomo è sempre libero e i fili della provvidenza sono sempre tesi; spetta all’uomo aggrapparvisi. I sacramenti, con cui dio distribuisce la sua grazia, sono dono, non ricompensa per un merito, cui aderire con libertà.

MISSA AETERNA CHRISTI MUNERA … L’Eucaristia senza tramonto

Nel 1907 Benson (1871-1914) scrive il suo capolavoro Il padrone del mondo. Felsenburgh è il capo carismati-co (pacifista, ecologista, ecumenista …) del nuovo ordine mondiale, oggetto di un vero e proprio culto idola-trico. La Chiesa è ridotta a un lumicino e combattuta strenuamente. Roma è stata rasa al suolo. Il prete catto-lico londinese Percy Franklin, uno dei pochi rimasti, viene eletto papa col nome di Silvestro III e si ritira a Nazareth. Il cardinale di Mosca lo tradisce e svela il suo nascondiglio. Nel momento in cui tutte le forze dell'aviazione mondiale, comandate dal Presidente del Mondo in persona, convergono verso Nazareth ove il papa, sta celebrando messa coi suoi cardinali, passa la scena di questo mondo.

Il prete alzò la testa. Davanti all’altare, c’era una figura trasfigurata, avvolta in rossi paramenti: non sembrava che fosse fissa a terra, ma pareva piuttosto che fluttuasse sospesa in aria, tra il chiarore diffuso delle candele, con le sottili mani distese e lo zucchetto sui capelli bianchi. Un chierico, vestito anch’esso di bianco, era inginocchiato sul gradino. Kyrie eleison. Gloria in excelsis Deo … Pareva uno spettacolo di ombre quella celebrazione svolta davanti a lui; intuiva i movimenti, udiva il sussurrare della preghiera, ma percepiva solamente la luce che tutto fondeva in unità. […] Venne invece scosso dalle parole degli Atti degli Apostoli: “Quando giunse il giorno di Pentecoste …”. Allora gli tornò tutto alla memoria e capì. Quello era il giorno di Pentecoste! […]

Alla fine della messa, mentre il suo spirito umile si esaltava nella felicità di ricevere l’ultimo dono di Dio, si udì un grido, un improvviso clamore che si alzò dal corridoio. […]

Di nuovo, si volse all’altare. Là, come ben sapeva, tra lo splendore dei ceri, tutto era immerso nella pace. Il celebrante, che appariva come attraverso un recipiente di vetro colmo d’acqua, adorava in preghiera silenziosa il Verbo incarnato e il suo mistero. […] Il papa si alzò. Era una pallida visione, fra lo splendore della luce, con quel velo di seta che, dalle spalle, scendeva, in mirabili pieghe, avvolgendogli le mani. La sua fronte era china, nascosta dalla raggera dell’ostensorio e dall’ostia che essa custodiva. […] Attraverso lo spazio brillavano le sei fiaccole, lame di acciaio ben diritte, sospese in modo mirabile tra la terra e il cielo. Nel centro, lo splendore radioso del mistero di Dio fatto uomo … E di nuovo uno scoppio di tuono, lassù […] Tantum ergo sacramentum … […] Sì! Era giunta l’ora dell’Uomo, che Dio attendeva. Sul carro veloce veniva Colui, contro il quale erano state sì a lungo rivolte le sfide. […] Praestet fides supplementum, sensum defectui … Eccolo, il padrone del mondo. Genitori genitoque … Così finiva questo mondo. Così passava la sua gloria.

(ROBERT HUGH BENSON, Il Padrone del mondo, Jaca Bok, Milano 1987, 318-317)

Il rito della messa e l’adorazione eucaristica corrispondono passo per passo allo svolgersi degli ultimi eventi. Il segretario siro di papa Silvestro III comprende solo gradualmente, attraverso il rito e i suoi segni, gli accadimenti. Senza posa torna a guardare l’altare e ogni volta comprende!

È la verità dei Santi Segni: la liturgia ha in effetti un carattere propriamente performativo, vale a dire che realizza quello che dice. Nel caldo soffocante che non cessa mai, le candele sull’altare rivelano misteriosamente il giorno grande della Luce. La liturgia della Parola consente poi di contestualizzare gli eventi e soprattutto il nesso misterioso tra l’evento proclamato e il vissuto. Il tempo della liturgia è sempre quel presente in cui il passato e il futuro sono uniti in un unico abbraccio. La liturgia eucaristica realizza l’epifania per opera dello Spirito Santo nella nuova Pentecoste. Il culto eucaristico dopo la Messa, l’Adorazione, rivela la presenza di Dio: è il dato di fatto incontestabile dell’evento. Attraverso le strofe dell’inno del Tantum Ergo e la raggera argentata dell’ostensorio sull’altare passa la scena di questo mondo e si rivela la sua caducità.

L’Eucarestia è veramente il cielo sulla terra, lo sterminato mondo di Dio che si affaccia sull’angusto mondo degli uomini, palestra di sano e autentico realismo.

EUCARISTIA E LETTERATURA

Due scelte: alcuni aspetti del mistero eucaristico, un mistero onnicomprensivo, il Tutto è nel frammento, e solo alcuni letterati che si sono lasciati toccare da questo mistero.

PRAEPARATIO AD MISSAM

In Nodo di vipere (1932) Francois Mauriac (1885-1970) registra, come su un diario, i pensieri di Luigi, ricco e noto principe del foro parigino, ormai anziano e malato. L’avvocato rivela il suo fallimento e cerca di indagare con lucidità il senso del suo inferno quotidiano. Conosco il mio cuore, questo groviglio di vipere: soffocato da esse, saturo del loro veleno, continua a battere sotto le loro spire: questo groviglio di vipere che è impossibile sciogliere, che bisognerebbe tagliare con un colpo di coltello, con un colpo di spada. (FRANCOIS MAURIAC, Nodo di vipere, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1952, 120). Tutto comincia da una parola di Isa, la moglie, pronunciata durante la notte. Rodolfo dice la donna nel sonno, il nome di un giovane conosciuto quand’era ancora collegiale. Luigi si convince di non essere amato e inizia a odiare. L’odio si trasforma in una guerra aperta che trascina figli e nipoti. Tutta l’opera di Mauriac è affollata di mostri, assassini, lussuriosi, invidiosi, bugiardi, ingordi. Sono figure reali, ma in fondo siamo noi, o meglio saremmo potuti esserlo. Per Mauriac l‘uomo è un pellegrino decaduto che ha smarrito la meta ed è vittima della noia e della disperazione. C’è sempre colpo di scena: anche il mostro più ignobile ha un’anima che la Grazia fa rivivere. Luigi alle volte sente amore attorno a sé e l’esperienza gratuita ed imprevista di amore suscita amore.

Ti saresti stupita se ti avessi detto che provavo una specie di dolcezza alla presenza di quell’uomo in tonaca! Eppure era vero.

Quando mi capitava di alzarmi allo spuntar del sole e di scendere giù per respirare l’aria fresca dell’alba, ve-devo l’abate partire per la sua messa a passo svelto e così assorto che, a volte, passava a pochi metri da me senza vedermi. Era l’epoca in cui ti schernivo, in cui facevo di tutto per coglierti in fallo ad ogni istante e met-terti in contraddizione con i tuoi principi. Ma non avevo la coscienza tranquilla. Ogni qualvolta ti coglievo in flagrante per la tua avarizia o per la tua severità, fingevo di credere che non fosse più rimasta in voi alcuna traccia dello spirito di Cristo; non ignoravo; che sotto il mio tetto, un uomo viveva, secondo quello spirito, all’insaputa di tutti.

(FRANCOIS MAURIAC, Nodo di vipere, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1952, 87)

Colpisce lo spirito di osservazione e la finezza spirituale di quell’uomo ritenuto da tutti un massone, sfegatato anticlericale. Luigi avverte una strana sensazione di dolcezza davanti al giovane precettore ecclesiastico dei suoi figli, l’abate Arduino. All’alba, prima della Messa, il giovane abate è già immerso nel grande mistero e trasuda Bellezza: è la bellezza di un amore arcano, sconosciuto al mondo, Altro …

[…] stando così immoto a sedere, senti arrivarsi all’orecchio come un’onda di suono non bene espresso, ma che pure aveva un non so che d’allegro. Stette attento, e riconobbe uno scampanare a festa lontano. […] Che allegria c’è? Cos’hanno di bello tutti costoro? (ALESSANDRO MANZONI, I Promessi sposi, Newton and Compton editori s.r.l., Roma 1989, 327)

È la stessa esperienza di bellezza che fa l’Innominato che ode le campane annunciare con gioia la messa del Cardinale. Il suono delle campane nei Promessi Sposi è epifania della grazia. La bellezza vera è un’esperienza che si vede e si ode. Nella Sacrosantum Conciluim al numero 34, questa bellezza che si riflette nella celebrazione del mistero di Cristo, è definita nobile e semplice. È bellezza da ricercare con impegno e fatica (gesti, immagini, suoni, arredi …) è bellezza che non può violentare la storia della comunità cristiana, perché è antica e al contempo nuova. È soprattutto bellezza che riflette la Bellezza di Dio: è misterium lunae.

L’amore ricevuto da Luigi, dalla piccola figlia Maria, dal nipote Luca, dall’Abate Arduino e alla fine addirittura Isa, riaccende l’amore. Luigi si rende conto che la guerra è finita. Ora confessa: è proprio quando mi sento più lucido di mente che la tentazione cristiana mi tormenta. Non posso negare che esiste in me una tendenza che potrebbe condurmi al tuo Dio. […] Mi credi, Isa? Forse non è per voi, giusti, che il tuo Dio è venuto, se Egli è venuto, ma per noi. (FRANCOIS MAURIAC, Nodo di vipere, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1952, 217) Luigi riesce a dare un nome a quell’amore arcano e passa dal Dio di Isa, implacabile e giansenista, al Dio del vero amore, Deus caritas est.

ORDO MISSAE

Nel 1939 Graham Greene (190-1970), di ritorno da un viaggio in Messico, scrive il romanzo Il potere e la gloria. Non ha neppure un nome l’'ultimo prete sopravvissuto, è il prete spugna: alcolista, ladro, a tratti simoniaco e, per giunta, padre di Brigitta, avuta da Maria, sua parrocchiana. Il Santo Ufficio storce il naso davanti a questo racconto, ma monsignor Montini riesce a stemperare. Questo prete fugge, scappa senza posa da una spietata caccia all'uomo da parte del governo. Sono gli anni a ridosso della rivolta dei Cristeros. la sollevazione messicana, tra 1926-1929, contro il governo anticlericale di Calles. (Cfr. San Josè Sanchez del Rio).

Il prete spugna arriva nel suo villaggio d’un tempo, ma è accolto con freddezza. Celebra la Messa prima dell’alba in una lurida capanna. I governativi sono sulle sue tracce, ad un miglio di distanza.

Nella luce scarsa, distinse vagamente due uomini inginocchiati con le braccia aperte nel gesto della croce; sarebbero rimasti in quella posa sino alla fine della Consacrazione: un’ulteriore mortificazione spremuta fuori da una vita dura e penosa. Provò una grande vergogna davanti alla sofferenza che quegli uomini qualunque sopportavano volontariamente: la sua era imposta. […]

Cornelii, Cypriani, Laurentii, Chrysogoni … tra poco la polizia sarebbe sbucata nella radura […] Le parole latine gli si accavallavano sulla lingua frettolosa: sentiva l’impazienza stringerlo tutt’attorno. Incominciò la consacrazione dell’ostia (un pezzo di pane proveniente dal forno di Maria: aveva finito da tempo le particole), e l’impazienza svanì di colpo; tutto, con il tempo, diventa meccanico, ma non questo: “Egli, nella notte che fu tradito, prese del pane con le sue Sante mani …”. Chiunque, si muovesse fuori sul sentiero nella foresta, là dentro non c’era un solo movimento. “Hoc est enim Corpus Meum …”. Sentì il sibilo dei respiri fino allora trattenuti: per la prima volta dopo sei anni, Dio era presente con il suo Corpo. Quando sollevò l’Ostia consacrata, poteva immaginare le facce levarsi come cani affamati. Incominciò a consacrare il vino in una tazza sbreccata […]. La consacrazione proseguì nel silenzio, senza scampanellii. Il prete s’inginocchiò davanti alla cassa, esausto, senza una preghiera. La porta si aprì di nuovo. Una voce bisbigliò con urgenza: “Sono già qui”. […] Il prete si mise frettolosamente in bocca l’ostia e bevve il vino: bisognava impedire la profanazione; la tovaglia fu strappata dalla cassa. Maria pizzicò lo stoppino delle candele perché non lasciassero odore …

(GRAHAM GREENE, Il potere e la gloria, Oscar Mondadori, Milano 2000, 79-83)

Il rito passa veloce e meccanico, l’omelia è senza trasporto, dubbiosa e incespicata, ma alla Consacrazione tutto è concentrazione, fluire immobile ed eterno del tempo, attesa palpabile e adorante. Greene racconta in questo modo la presenza reale di Dio, anzi la sua presenza di sommo grado, la massima epifania di Dio sulla terra.

I soldati sono vicini, troppo vicini, l’afa della notte è insopportabile, la stanchezza di tutti palpabile e poi c’è Maria a ricordare che il prete è in peccato mortale. Greene spiega così l’ex opere operato (letteralmente per il fatto stesso di aver fatto la cosa). I sacramenti, dice il Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 1128, agiscono ex opere operato, cioè in virtù dell'opera di Cristo, compiuta una volta per tutte. Ne consegue che il sacramento non è realizzato dalla giustizia dell'uomo che lo conferisce o lo riceve, ma dalla potenza di Dio». Quando un sacramento viene celebrato in conformità all'intenzione della Chiesa, la potenza di Cristo e del suo Spirito agisce in esso e per mezzo di esso, indipendentemente dalla santità personale del ministro.

Lo scrittore non sono ci spiega la presenza reale e l’efficacia dei sacramenti, ma anche il senso autentico di quell’auctuosa participatio di cui parla la Sacrosantum Concilium al numero 48. In cosa consiste la vera partecipazione, attiva per l’appunto, dei fedeli al mistero di Cristo che accade nella celebrazione dei sacramenti e in particolare nella messa? Non assistano come estranei o muti spettatori, recita il concilio, siano istruiti nella Parola di Dio, prosegue il testo, siano ristorati (nutriti) alla mensa del corpo del Signore, (per ben 6 anni in quel villaggio non è celebrata l’Eucaristia) ma soprattutto, offrendo la vittima immacolata, imparino ad offrire sé stessi. Questo è il vero cuore della partecipazione attiva: oltre ogni protagonismo esagitato, si tratta di vivere alla maniera di Cristo, offrendo la propria vita al Padre per la salvezza del mondo. In questo modo i peones partecipano a quella straordinaria Messa e in questo modo, alla fine del romanzo, il prete spugna compie il suo ministero sacerdotale.

POST COMMUNIO ovvero il Ringraziamento

Lucia Mondella è stata liberata dal castello dell’Innominato e viene condotta alla casa del sarto. Dopo la Messa del Cardinale Federigo, in visita pastorale da quelle parti, ha inizio il pranzo.

Il sarto cominciò, ai primi bocconi, a discorrere con grand’enfasi, in mezzo alle interruzioni de’ ragazzi, che mangiavano ritti intorno alla tavola, e che in verità avevano visto troppe cose straordinarie, per fare alla lunga la sola parte d’ascoltatori. Descriveva le cerimonie solenni, poi saltava a parlare della conversione miracolosa. Ma ciò che gli aveva fatto più impressione, e su cui tornava più spesso, era la predica del cardinale. […]

Qui interruppe il discorso da sé, come sorpreso da un pensiero. Stette un momento; poi mise insieme un piatto delle vivande ch'eran sulla tavola, e aggiuntovi un pane, mise il piatto in un tovagliolo, e preso questo per le quattro cocche, disse alla sua bambinetta maggiore: - piglia qui . Le diede nell'altra mano un fiaschetto di vino, e soggiunse: - va' qui da Maria vedova; lasciale questa roba, e dille che è per stare un po' allegra co' suoi bambini. Ma con buona maniera, ve'; che non paia che tu le faccia l'elemosina. E non dir niente, se incontri qualcheduno; e guarda di non rompere.

(ALESSANDRO MANZONI, I Promessi sposi, Newton and Compton editori s.r.l., Roma 1989, 365-366)

Il sarto e i suoi bambini raccontano un’esperienza profondo (sono coinvolti la vista, l’udito … il sembiante aureo e ieratico del cardinale e la sua parola evangelica che suscita il pianto). Quest’esperienza incide sulla coscienza e suscita un’azione libera. Le 4 istruzioni del sarto alla piccina, segno d’impareggiabile finezza umana e spirituale (dille che è per stare un po' allegra / con buona maniera, ve'; non paia che tu le faccia l'elemosina / non dir niente / e guarda di non rompere) ci dicono che non siamo di fronte al passaggio di cibi da una tavola all’altra (logica della filantropia/solidarietà) ma ad un autentico atto di carità. Deus caritas est: la carità consiste nel condividere l’esperienza di Dio e del suo amore gratuito, immeritato, traboccante e illogico. L’Eucaristia, il sacramento della carità suscita la carità. Il dono va condiviso con parole e gesti. Questa è la logica eucaristica.

La stessa logica, ritorna, in una pagina struggente di Antonia Arslan. Un vecchio prete greco sceglie liberamente di accompagnare le donne armene e i loro figli e viene ucciso da un’incursione dei Curdi, durante la grande marcia verso il deserto, nel Genocidio armeno. “Presto, presto” dice Shushanig “tiriamo giù il prete e seppelliamolo qui, che è terra consacrata.” Tutto il prato freme di preghiere; tutte si sentono ora orfane e sole di una solitudine irrimediabile. Piangono le madri, e mettono i corpicini dei figli tra le braccia del vecchio prete, e fra le sue mani congiunte la sua consunta croce, recuperata col laccio di cuoio spezzato ai piedi del platano. Gli hanno chiuso gli occhi, ricomposta la barba, rivestita la vecchia tonaca: ora Shushanig ordina a Veron e Azniv di raccogliere i fiori blu e viola che crescono fitti intorno alla vasca dell’acqua, che continua a fluire con il suo quieto leggero rumore, e di spargerli sul vecchio, e sui bambini, dopo averli bagnati nell’acqua benedetta. E sopra la croce pone una candela, che spegne con soffio deciso “Niente croce sopra la tomba, la strapperebbero via. Dio vede dove sono i suoi servi fedeli”. (ANTONIA ARSLAN, La masseria delle allodole, Rizzoli, Milano 2004, 145-146). È una lezione sacerdotale e quindi autenticamente eucaristica quella del prete ortodosso. Lezione che risuona nel rito romani do ordinazione dei presbiteri: “renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore”.

Manzoni alla tavola del sarto ha raccontato ancora una volta la grazia. Lui ex giansenista (il dibattito critico è annoso) si tuffa nella provvidenza di Dio, la provvida sventura, che è per tutti, ma proprio tutti, anche per la monaca di Monza. Non c’è pertanto predestinazione, ma l’uomo è sempre libero e i fili della provvidenza sono sempre tesi; spetta all’uomo aggrapparvisi. I sacramenti, con cui dio distribuisce la sua grazia, sono dono, non ricompensa per un merito, cui aderire con libertà.

MISSA AETERNA CHRISTI MUNERA … L’Eucaristia senza tramonto

Nel 1907 Benson (1871-1914) scrive il suo capolavoro Il padrone del mondo. Felsenburgh è il capo carismati-co (pacifista, ecologista, ecumenista …) del nuovo ordine mondiale, oggetto di un vero e proprio culto idola-trico. La Chiesa è ridotta a un lumicino e combattuta strenuamente. Roma è stata rasa al suolo. Il prete catto-lico londinese Percy Franklin, uno dei pochi rimasti, viene eletto papa col nome di Silvestro III e si ritira a Nazareth. Il cardinale di Mosca lo tradisce e svela il suo nascondiglio. Nel momento in cui tutte le forze dell'aviazione mondiale, comandate dal Presidente del Mondo in persona, convergono verso Nazareth ove il papa, sta celebrando messa coi suoi cardinali, passa la scena di questo mondo.

Il prete alzò la testa. Davanti all’altare, c’era una figura trasfigurata, avvolta in rossi paramenti: non sembrava che fosse fissa a terra, ma pareva piuttosto che fluttuasse sospesa in aria, tra il chiarore diffuso delle candele, con le sottili mani distese e lo zucchetto sui capelli bianchi. Un chierico, vestito anch’esso di bianco, era inginocchiato sul gradino. Kyrie eleison. Gloria in excelsis Deo … Pareva uno spettacolo di ombre quella celebrazione svolta davanti a lui; intuiva i movimenti, udiva il sussurrare della preghiera, ma percepiva solamente la luce che tutto fondeva in unità. […] Venne invece scosso dalle parole degli Atti degli Apostoli: “Quando giunse il giorno di Pentecoste …”. Allora gli tornò tutto alla memoria e capì. Quello era il giorno di Pentecoste! […]

Alla fine della messa, mentre il suo spirito umile si esaltava nella felicità di ricevere l’ultimo dono di Dio, si udì un grido, un improvviso clamore che si alzò dal corridoio. […]

Di nuovo, si volse all’altare. Là, come ben sapeva, tra lo splendore dei ceri, tutto era immerso nella pace. Il celebrante, che appariva come attraverso un recipiente di vetro colmo d’acqua, adorava in preghiera silenziosa il Verbo incarnato e il suo mistero. […] Il papa si alzò. Era una pallida visione, fra lo splendore della luce, con quel velo di seta che, dalle spalle, scendeva, in mirabili pieghe, avvolgendogli le mani. La sua fronte era china, nascosta dalla raggera dell’ostensorio e dall’ostia che essa custodiva. […] Attraverso lo spazio brillavano le sei fiaccole, lame di acciaio ben diritte, sospese in modo mirabile tra la terra e il cielo. Nel centro, lo splendore radioso del mistero di Dio fatto uomo … E di nuovo uno scoppio di tuono, lassù […] Tantum ergo sacramentum … […] Sì! Era giunta l’ora dell’Uomo, che Dio attendeva. Sul carro veloce veniva Colui, contro il quale erano state sì a lungo rivolte le sfide. […] Praestet fides supplementum, sensum defectui … Eccolo, il padrone del mondo. Genitori genitoque … Così finiva questo mondo. Così passava la sua gloria.

(ROBERT HUGH BENSON, Il Padrone del mondo, Jaca Bok, Milano 1987, 318-317)

Il rito della messa e l’adorazione eucaristica corrispondono passo per passo allo svolgersi degli ultimi eventi. Il segretario siro di papa Silvestro III comprende solo gradualmente, attraverso il rito e i suoi segni, gli accadimenti. Senza posa torna a guardare l’altare e ogni volta comprende!

È la verità dei Santi Segni: la liturgia ha in effetti un carattere propriamente performativo, vale a dire che realizza quello che dice. Nel caldo soffocante che non cessa mai, le candele sull’altare rivelano misteriosamente il giorno grande della Luce. La liturgia della Parola consente poi di contestualizzare gli eventi e soprattutto il nesso misterioso tra l’evento proclamato e il vissuto. Il tempo della liturgia è sempre quel presente in cui il passato e il futuro sono uniti in un unico abbraccio. La liturgia eucaristica realizza l’epifania per opera dello Spirito Santo nella nuova Pentecoste. Il culto eucaristico dopo la Messa, l’Adorazione, rivela la presenza di Dio: è il dato di fatto incontestabile dell’evento. Attraverso le strofe dell’inno del Tantum Ergo e la raggera argentata dell’ostensorio sull’altare passa la scena di questo mondo e si rivela la sua caducità.

L’Eucarestia è veramente il cielo sulla terra, lo sterminato mondo di Dio che si affaccia sull’angusto mondo degli uomini, palestra di sano e autentico realismo.

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