PRIMA LECTIO DIVINA D'AVVENTO 28 novembre 2016
Lectio Divina d’Avvento
Sulla Prima Lettera ai Corinti di S. Paolo Apostolo – 28 novembre 2016
(ispirata ad un testo del card. Carlo Maria Martini, L’utopia alla prova di una comunità, PIEMME 1998)
1. Le lectiones divinae di quest’anno si inseriscono nel contesto che la nostra parrocchia percorre sulla scorta dei punti programmatici che ho circoscritto nell’omelia del mio ingresso in parrocchia (27 settembre 2015), collocati nel cammino della Chiesa diocesana ed universale. Così lo scorso anno abbiamo riflettuto, pregato ed operato per passare dalle nostre dispersioni al raccoglierci intorno a Gesù, che ci restituisce il volto misericordioso del Padre (Anno Santo della Misericordia). Quest’anno insisteremo sulla comunione con Gesù, che si realizza nell’Eucaristia ed edifica la comunità (lettera pastorale del Vescovo: “In memoria di me”). Il prossimo anno pastorale (2017 – 2018) – caratterizzato dalla missione parrocchiale – metterà l’accento sulla missionarietà. Queste tematiche, benché distribuite su tre anni, sono però sempre presenti, quasi fossero cerchi concentrici, perché sono coessenziali alla vita di fede e della Chiesa.
2. Perché ho scelto la Prima Lettera ai Corinti? Perché in essa, attraverso l’esperienza di S. Paolo, si vede lo “scarto” – diciamo così – di come si vorrebbe la Chiesa, in concreto una comunità, quindi anche la parrocchia e la realtà concreta della Chiesa, della comunità, ma anche la reazione dell’Apostolo, il quale non si è accasciata né tormentato, ma ha superato le difficoltà con una nuova comprensione del mistero della Chiesa e della vita cristiana.
Ovviamente, in sole 4 lectiones divinae, non potrò certamente esaurire il discorso, ma spero di mettere in comune alcuni elementi di riflessione che ci potranno aiutare.
3. Partiamo da un inquadramento, domandandoci: quali sono le coordinate della Prima lettera ai Corinti di S. Paolo, ossia quando è stata scritta, in quale momento della vita di P. e della sua esperienza di fede; quali erano i suoi rapporti con quella comunità; qual è il contenuto della lettera.
* Dove è stata scritta questa lettera. Paolo l’ha scritta mentre si trovava ad Efeso, dove ha soggiornato per circa 3 anni, dal 54 al 57. Dice infatti: Mi fermerò ad Efeso fino a Pentecoste, perché mi si è aperta una porta grande e propizia, anche se gli avversari sono molti (1 Cor 16,8-9).
* In quale momento della vita di P. e della sua esperienza di fede è stata scritta la lettera.
Dopo quasi 20 anni di ministero pastorale molto intenso e perciò con una grande esperienza dell’evangelizzazione. Per avere un saggio, basta ascoltare ciò che scrive al cap. 15 della lettera: Se Cristo non è risorto, perché noi ci esponiamo al pericolo continuamente? Ogni giorno io affronto la morte, come è vero che voi siete il mio vanto, fratelli in Cristo Gesù nostro Signore! Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto ad Efeso contro le belve, a che mi gioverebbe (l.c., 15, 30-32). Questa lettera ci restituisce un’amorosa passione da parte di Paolo vissuta lungamente per Cristo e per la Chiesa. Negli Atti degli Apostoli si narra la fondazione della Chiesa di Corinto da parte di Paolo: anche se poi egli si è formato in essa solo un anno e mezzo, 18 mesi, la sua presenza ha avuto un peso incalcolabile perché tutto avveniva nella forza dello Spirito.
*Qual è l’occasione precisa per cui P. scrive questa lettera. Una visita che ha ricevuto ad Efeso: una delegazione di Corinti è andato a trovarlo e gli ha portato notizie buone e cattive della comunità. Sono soprattutto quelle cattive che lo inducono a scrive: Mi è stato segnalato – dice P. – a vostro riguardo dalla gente di Cloe, che vi sono discordie fra voi. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: “Io sono di Paolo”, “Io invece di Apollo”, “E io di Cefa”, “E io di Cristo!” (1 Cor 1,11-12).
La comunità che gli ha dato tante gioie, gli dà anche preoccupazioni, L’amore profondo che nutre per quella Chiesa da lui fondata, lo spinge a richiamarla alla genuinità del Vangelo e le sue parole, dopo molti secoli, sono preziose e ricche di ispirazione anche per noi.
*Qual è il tema centrale della 1 Corinti?
Centrale è la comunità con i suoi problemi, assai diversi e però distinguibili facilmente in due parti:
- nella prima parte – i primi 6 capitoli – tratta delle divisioni, dei casi di incesto, del ricorso ai tribunali pagani e della fornicazione;
- nella seconda parte – dal 7° al 15° capitolo – risponde ai quesiti su problemi concreti: matrimonio e verginità; le carni immolate agli idoli; il buon andamento delle assemblee religiose; i doni spirituali; la risurrezione di Cristo.
4. Oggi vediamo le caratteristiche della comunità cristiana, ossia gli aspetti positivi; detto in altri termini, sette caratteristiche di comunità cristiana che corrispondono alla visione dell’Apostolo, alla visione stessa di Gesù e del Padre.
a) Una comunità che si identifica con Gesù Signore
Nella triplice narrazione della conversione di Paolo, Gesù si rivolge a lui con queste parole: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? (At 9,4); Io sono Gesù che tu perseguiti (At 9,5); Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti (At 22,8); Perché mi perseguiti” … “Io sono Gesù che tu perseguiti” (At 26, 14-15). Il Risorto si indentifica senza alcun dubbio con i suoi discepoli che vengono perseguitati. E’ la visione cristologica della Chiesa quale parte del suo Signore. Fin dall’inizio, P ha questa intuizione: tra Gesù e i suoi c’è una specie di identificazione.
b) Una comunità che diventa corpo del Signore
Se sta la lettura cristologica della Chiesa, possiamo comprendere di conseguenza anche la lettura eucaristica della comunità, sulla quale – per esempio – la Chiesa orientale insiste molto: la comunità diventa corpo del Signore nell’Eucaristia. Dice P al capitolo 10 della nostra lettera: Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti, infatti, partecipiamo dell’unico pane (1 Cor 10, 16-17).
c) Una comunità che è un solo corpo.
A livello sociologico, nel senso pregnante del termini, P. vede la comunità cristiana “una”.
Scrive a tal proposito: Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: «Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe più parte del corpo. E se l'orecchio dicesse: «Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe più parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l'udito? Se fosse tutto udito, dove l'odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l'occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; né la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte (1 Cor 12, 12-27).
Partendo dal corpo di Cristo, P. legge la Chiesa come una comunità organica dove le diverse parti formano una cosa sola e devono perciò aiutarsi mutuamente, collaborare, vivere un’ armonia profonda. Per lui la comunità cristiana è una realtà bella, piacevole, attraente, che dà gioia, come dà gioia all’orecchio ascoltare un insieme gradevole di suoni diversi.
d) Una comunità tempio dello Spirito Santo
Alla visione sociologica si può aggiungere una visione sacrale e pneumatica (cioè spirituale) della Chiesa, su cui l’Apostolo ritorna sovente: Non sapete – scrive – che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? (1 Cor 3,16). E’ davvero molto forte l’espressione voi siete tempio di Dio. La relazione con lo Spirito è spiegata meglio al capitolo 12, dove dice: Noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito … tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito (v. 13). Per capire in quale senso P ha una visione sacrale e spirituale al tempo stesso della comunità, dobbiamo ricordare che cosa voleva dire il “tempio” per un ebreo. E’ il luogo della Presenza divina, la “Schekhinah”, il luogo dove si manifesta la santità di Dio, l’Altissimo. Pensiamo, per esempio, al sentimento di estesi di Gesù dodicenne quando è entrato nel tempio di Gerusalemme: Bisogna che io resti nelle cose del Padre mio (Lc 2,49). Il tempio è il luogo sacro per eccellenza e per questo Gesù, divenuto adulto, scaccerà i profanatori: Sta scritto: la mia casa sarà casa di preghiera (Lc 19,45). Nel tempio tutto è puro, incontaminato, tutto va trattato con somma cura e rispetto perché è proprietà di Dio. L’esperienza straordinaria dell’incontro con Cristo ha fatto intuire all’ebreo P che ora la Chiesa è il tempio, la presenza di Dio nel mondo, la manifestazione della sua gloria, e perciò all’interno della comunità cristiana si devono instaurare rapporti intessuti di delicatezza, di rispetto e di amore. Questo intende sottolineare con l’espressione: Voi siete il tempio dello Spirito Santo. E’ una visione sacrale della Chiesa che santifica il mondo, che è dappertutto come Dio è dappertutto. E’ una visione spirituale della Chiesa, sottomessa alla forza dello Spirito, la visione di una comunità carismatica e perciò ricca di spontaneità, di trasparenza, di lealtà e di pace.
e) Una comunità fraterna
La quinta caratteristica è quella di una visione agapica della comunità. La Chiesa per Paolo è una comunità fraterna, una comunità fondata sull’amore. Il capitolo 13 della 1 Cor illustra splendidamente il volto della Chiesa sognata da Paolo: La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (vv 4-7).
Una comunità paziente, che serve, che non si inorgoglisce, che non si irrita, che tutto crede, tutto spera, tutto sopporta; in essa di parla bene di tutti, di dà fiducia a tutti, si porta stima a tutti.
f) Una comunità di edificazione
C’è un’altra definizione di Chiesa molto cara a Paolo: una comunità che si edifica ed edifica grazie all’amore. E’ infatti una casa da costruire, un tempio da edificare. L’amore è la sola forza che non distrugge né con le opere né con le parole, né con i pensieri. L’amore stesso va costruito giorno dopo giorno eda qui la regola fondamentale della comunità; promuovere ciò edifica, evitare ciò che distrugge. Scrive P: Poiché desiderate i doni dello Spirito, cercate di averne in abbondanza, ma per l’edificazione della comunità (1 Cor 14,12)
La regola non sono i doni dello Spirito in astratto, bensì l’edificazione grazie all’amore; scrive: Che fare dunque, fratelli? Quando vi radunate ognuno può avere un salmo, un insegnamento, una rivelazione, un discorso in lingue, il dono di interpretarle. Ma tutto si faccia per l'edificazione (v. 26).
Da questa regola, P trae delle conseguenze pratiche: Dunque, fratelli miei, aspirate alla profezia e, quanto al parlare con il dono delle lingue, non impeditelo. Ma tutto avvenga decorosamente e con ordine (vv. 39-40).
L’edificazione nell’amore è un principio di ordine, di convenienza per il vero bene dell’intera comunità.
g) Una comunità che ringrazia Dio
Infine – ed è la settima caratteristica – P sogna una comunità di lode, che rende grazie a Dio.
Quello della lode è un ritornello presente in tutte le lettere paoline, per esempio nella nostra. Lo abbiamo sentito nel testo letto poc’anzi: Ringrazio continuamente il mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della scienza (1 Cor 1,4).
Cito in proposito un altro grande testo paolino a tutti ben noto, tratto dalla lettera agli Efesini: Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia (Ef 1,3 ss).
E’ la lode della comunità che si sente benedetta da Dio. La comunità sognata da P è la stessa che Gesù sogna. E’ il progetto di Dio, il principio e fondamento della Chiesa, dell’umanità chiamata ad essere in Cristo. L’Apostolo ha compreso questo progetto poco a poco, attraverso giorni felici e attraverso circostanze avverse: tutto lo ha aiutato in questa contemplazione grandiosa e gloriosa della comunità dei credenti. E, fin dall’inizio, cioè dall’incontro con Gesù risorto, la sua vita è diventata, sempre e comunque un inno di lode e di riconoscenza alla Trinità santa.