Omelia del parroco - Trasfigurazione del Signore, domenica 6 agosto 2017
1. Nella Chiesa d'oriente, che Paolo VI - di cui celebriamo il 39° anniversario della nascita al cielo - ha tanto amato, la festa della Trasfigurazione occupa un posto molto speciale. Non è considerata un avvenimento fra i tanti, un dogma tra i dogmi, ma la sintesi di tutto: croce e risurrezione, presente e futuro del creato sono qui riuniti. La festa della Trasfigurazione è garanzia del fatto che il Signore non abbandona il creato. Che non si sfila di dosso il corpo come se fosse una veste e non lascia la storia come se fosse un ruolo teatrale. All'ombra della croce, sappiamo che proprio cosଠil creato va verso la trasfigurazione.
Quella che noi indichiamo come trasfigurazione è chiamata nel greco del Nuovo Testamento metamorfosi ("trasformazione"), e questo fa emergere un fatto importante: la trasfigurazione non è qualcosa di molto lontano, che in prospettiva pò accadere.
Nel Cristo trasfigurato si rivela molto di più ciù che è la fede: trasformazione, che nell'uomo avviene nel corso di tutta la vita. Dal punto di vista biologico la vita è una metamorfosi, una trasformazione perenne che si conclude con la morte. Vivere significa morire, significa metamorfosi verso la morte. Il racconto della trasfigurazione del Signore vi aggiunge qualcosa di nuovo: morire significa risorgere. La fede è una metamorfosi, nella quale l'uomo matura nel definitivo e diventa maturo per essere definitivo. Per questo l'evangelista Giovanni definisce la croce come glorificazione, fondendo la trasfigurazione e la croce: nell'ultima liberazione da se stessi la metamorfosi della vita giunge al suo traguardo.
La trasfigurazione promessa dalla fede come metamorfosi dell'uomo è anzitutto cammino di purificazione, cammino di sofferenza (dall'omelia del card. Ratzinger, in occasione della morte di Paolo VI).
2. S. Bernardo in una sua omelia sul Cantico dei Cantici, afferma: transformamur cum conformamur. La purificazione, il crogiolo della croce non sono fine a se stessi. A noi cristiani "occorre ogni tanto ricordarlo "il dolore "stoico" non interessa. Il ragionamento di chi afferma che bisogna mettersi il cuore in pace perchè la vita è sofferenza, è lontano mille miglia dal nostro modo di pensare e di credere. Non si tratta di "rassegnarsi" alla sofferenza, ma di vedere in essa "paradossalmente "una opportunità , oppure, più cristianamente, una grazia. E' il conformamur che ci conduce non alla semplice metamorfosi biologica, ma alla metamorfosi secondo la forma di Cristo. Lo esprime, con il suo stile inconfondibile S. Paolo, quando dice, scrivendo ai Filippesi: "E questo perchè io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti". Quante morti sono necessarie nella nostra vita per conformarci alla sua morte! Lo sa il Signore. Ma affinchè questo conformamur possa produrre il suo effetto, sradicandoci dal senso di fastidio e anche di oppressione che l'allusione alla morte e alla varie morti che dobbiamo attraversare portano con sè, dobbiamo capirne il motore interiore, quello che ha spinto Cristo alla sua morte. E il motore, la ragione interiore non è altro se non la caritas. Quando Gesù nella preghiera sacerdotale dice al padre: "Per loro io consacro me stesso", ci svela il motivo dell'incarnazione, della passione e della morte in croce. Quel verbo "consacrare" è sacrificale. Ma il sacrificio volontario di chi ama: "Per loro io consacro me stesso". Le nostre morti che ci conformano al Signore, cioè ci trasformano in lui, se non sono un abbandonarci alle ragioni dell'amore, si trasformano in fastidi, che possono renderci infelici e rendere difficile la vita intorno a noi.
3. Ma il verbo conformamur è un passivo, Ciù significa che in definitiva la nostra conformazione a Cristo non sarà mai opera nostra, ma sua. Questo ci libera da una certa "ansia di prestazione" e ci fa compiere un atto di fede, in colui che in tutto –come dice ancora S. Paolo "pò compiere in noi più di quanto possiamo pensare e immaginare. Lasciarci conformare. Il cammino lo conosce lui. Se le morti sono necessarie, devono essere le morti che vuole lui, che a volte attraverso il suo Santo Spirito egli stesso opera dentro di noi.
4. L'Eucaristia è il sacramento di questa metamorfosi. Noi abbiamo bisogno dell'Eucaristia perchè ogni giorno questo lavoro prosegua. L'Eucaristia è la garanzia che, per quel che concerne la parte che tocca a Dio, la trasformazione si compia. Ciù che noi riceviamo è Cristo stesso morto e risorto. Che cosa più di cosà¬? Ma l'Eucaristia è più che mai conformazione. Chi riceve il Signore- dice S. Paolo alludendo al linguaggio sponsale "forma con lui un solo Spirito. L'Eucaristia compie davvero la trasformazione nella conformazione: possiamo infatti dire, ogni volta che ci nutriamo del corpo del Signore: "non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me". S. Agostino direbbe, che si verifica il contrario di ciù che avviene nella digestione del cibo: là noi trasformiamo il cibo in carne e sangue; qui, Cristo trasforma noi in lui.
Cosଠma metamorfosi è già iniziata e la potenza di Dio la porterà a compimento.
In questo primo giorno della novena dell'Assunta guardiamo alla prima che Cristo ha associato alla sua piena e gloriosa metamorfosi e preghiamola di intercedere per noi, perchè lasciamo che il principio divino che già opera in noi, ci trasformi ad immagine della gloria che spende sul volto del suo Figlio trasfigurato e di riflesso sul suo volto di sposa e di madre.