RIFLESSIONI AD ALTA VOCE DI UN PARROCO AL TERMINE DELLE FESTIVITÀ NATALIZIE

  • 12/01/2019
  • Don Gabriele

RIFLESSIONI AD ALTA VOCE DI UN PARROCO AL TERMINE DELLE FESTIVITÀ NATALIZIE

L’Epifania tutte le feste le porta via. Così si sostiene. Mi guardo indietro e vedo il periodo dell’Avvento e mi dico: “E’ andato bene”, a parte l’incostanza di qualcuno tra i più vicini e la solita assenza dei “lontani”, con qualche eccezione. Chissà se c’è stata una progressione nella comprensione amorosa dell’evento: Dio che si fa bambino, spero tanto di sì. Stupore, stupore e stupore: questo è Natale. Mah! Mentre i giorni delle festività si dipanavano, mi si è chiarito un pensiero su cui mi stavo arrovellando da un po’ di tempo. E mi sono trovato ad esprimerlo in un’omelia, anche se non in parrocchia: ho capito cioè che – passati i primi tre anni da parroco – ora comincia il periodo del “mal di fegato”. Sì. Perché durante i primi tre anni vedi le cose belle della tua parrocchia e ne gioisci, vedi anche le cose meno belle e speri di riuscire a cambiarle. Passato però questo periodo, vedi le situazioni che difficilmente riuscirai a scalfire. E ti viene il mal di fegato. Vedi, per esempio, che nonostante i tuoi ripetuti appelli le persone alle Lodi Mattutine non aumentano; vedi che ai Vespri della domenica, nonostante la spiegazione che sarebbe bello si apprendesse “il gusto della lode di Dio, l’incremento non è stato quello sperato; vedi che l’adorazione del giovedì mattina non ha preso piede come contavi (nonostante ci sia in giro una marea di persone tra mercato e bar); vedi che alcuni laici – anche quelli da cui ti saresti atteso una più spiccata sensibilità ecclesiale – meno giovani e giovani sono assenti in momenti molto significativi (per fare solo un paio di esempi recenti: alla Messa col Te Deum di fine anno e alla Messa della Pace del 1° gennaio); vedi che alcuni i quali appartengono a gruppi ecclesiali parrocchiali sono svogliati in merito alla formazione e alla vita di preghiera (fino ad arrivare al punto di essere raramente praticanti e qualcuno addirittura per nulla!); vedi che durante le vacanze scolastiche i ragazzi continuano a disertare la Messa; vedi che i giovani genitori non sono molto interessati a trasmettere la fede ai loro figli; vedi che alcuni, i quali avevano cominciato bene (adolescenti e giovani), nel giro di poco tempo si “perdono”, inventando comodi alibi; vedi la disaffezione verso la parrocchia che si incarna nell’andare a Messa altrove, senza farsi venire neppure lo scrupolo di coscienza che forse non è proprio una cosa corretta; vedi intere famiglie che vivono nell’ateismo pratico; vedi tantissimi giovani che hanno rimosso ogni riferimento al trascendente, che ti dicono “Io non credo più” come se fosse una conquista invece che una sconfitta; e li vedo tutti accaniti nel cercare di “godersi la vita”, che invece li prende in giro, perché senza Dio non ti godi proprio un bel nulla!; vedi la grettezza di qualcuno che arriva al punto di dire, dopo il furto subito dalla parrocchia: “Ian fat ben a rubag”, come se avessero “rubato” a me …; vedi che l’ignoranza religiosa, il parlar male, la volgarità non diminuiscono; vedi situazioni di povertà culturale, morale, economica; vedi le famiglie che si sfaldano, i figli che soffrono, i litigi che si incrementano; vedi che i tuoi progetti circa iniziative che pensavi buone e capaci di promuovere nuove sensibilità religiose, culturali, sociali stentano a prendere piede. Vedi, vedi, vedi … Una persona, al termine dell’omelia citata sopra, in cui ho detto che dopo i primi tre anni di parrocchia, al quarto comincia il “mal di fegato”, ha esclamato: “Non si faccia venire il mal di fegato: la sera lei li chiude tutti fuori dalla sua porta”. Ma io non voglio, io non posso, io non devo chiudere tutto ciò fuori dalla mia porta. E allora che cosa faccio? Vado davanti al Tabernacolo e davanti alla Madre. Proprio come avevo detto nella mia prima omelia in mezzo a voi il 27 settembre 2015. Davvero non era retorico quel pensiero. Davanti all’Eucaristia e davanti alla Vergine Maria un parroco trova ancora la speranza … e cerca di non farsi venire il “mal di fegato”.

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