RIFLESSIONI AD ALTA VOCE DI UN PARROCO AL TERMINE DELLE FESTIVITÀ NATALIZIE
RIFLESSIONI AD ALTA VOCE DI UN PARROCO AL TERMINE DELLE FESTIVITÀ NATALIZIE
L’Epifania tutte le feste le porta via. Così si sostiene. Mi guardo indietro e vedo il periodo dell’Avvento e mi dico: “E’ andato bene”, a parte l’incostanza di qualcuno tra i più vicini e la solita assenza dei “lontani”, con qualche eccezione. Chissà se c’è stata una progressione nella comprensione amorosa dell’evento: Dio che si fa bambino, spero tanto di sì. Stupore, stupore e stupore: questo è Natale. Mah! Mentre i giorni delle festività si dipanavano, mi si è chiarito un pensiero su cui mi stavo arrovellando da un po’ di tempo. E mi sono trovato ad esprimerlo in un’omelia, anche se non in parrocchia: ho capito cioè che – passati i primi tre anni da parroco – ora comincia il periodo del “mal di fegato”. Sì. Perché durante i primi tre anni vedi le cose belle della tua parrocchia e ne gioisci, vedi anche le cose meno belle e speri di riuscire a cambiarle. Passato però questo periodo, vedi le situazioni che difficilmente riuscirai a scalfire. E ti viene il mal di fegato. Vedi, per esempio, che nonostante i tuoi ripetuti appelli le persone alle Lodi Mattutine non aumentano; vedi che ai Vespri della domenica, nonostante la spiegazione che sarebbe bello si apprendesse “il gusto della lode di Dio, l’incremento non è stato quello sperato; vedi che l’adorazione del giovedì mattina non ha preso piede come contavi (nonostante ci sia in giro una marea di persone tra mercato e bar); vedi che alcuni laici – anche quelli da cui ti saresti atteso una più spiccata sensibilità ecclesiale – meno giovani e giovani sono assenti in momenti molto significativi (per fare solo un paio di esempi recenti: alla Messa col Te Deum di fine anno e alla Messa della Pace del 1° gennaio); vedi che alcuni i quali appartengono a gruppi ecclesiali parrocchiali sono svogliati in merito alla formazione e alla vita di preghiera (fino ad arrivare al punto di essere raramente praticanti e qualcuno addirittura per nulla!); vedi che durante le vacanze scolastiche i ragazzi continuano a disertare la Messa; vedi che i giovani genitori non sono molto interessati a trasmettere la fede ai loro figli; vedi che alcuni, i quali avevano cominciato bene (adolescenti e giovani), nel giro di poco tempo si “perdono”, inventando comodi alibi; vedi la disaffezione verso la parrocchia che si incarna nell’andare a Messa altrove, senza farsi venire neppure lo scrupolo di coscienza che forse non è proprio una cosa corretta; vedi intere famiglie che vivono nell’ateismo pratico; vedi tantissimi giovani che hanno rimosso ogni riferimento al trascendente, che ti dicono “Io non credo più” come se fosse una conquista invece che una sconfitta; e li vedo tutti accaniti nel cercare di “godersi la vita”, che invece li prende in giro, perché senza Dio non ti godi proprio un bel nulla!; vedi la grettezza di qualcuno che arriva al punto di dire, dopo il furto subito dalla parrocchia: “Ian fat ben a rubag”, come se avessero “rubato” a me …; vedi che l’ignoranza religiosa, il parlar male, la volgarità non diminuiscono; vedi situazioni di povertà culturale, morale, economica; vedi le famiglie che si sfaldano, i figli che soffrono, i litigi che si incrementano; vedi che i tuoi progetti circa iniziative che pensavi buone e capaci di promuovere nuove sensibilità religiose, culturali, sociali stentano a prendere piede. Vedi, vedi, vedi … Una persona, al termine dell’omelia citata sopra, in cui ho detto che dopo i primi tre anni di parrocchia, al quarto comincia il “mal di fegato”, ha esclamato: “Non si faccia venire il mal di fegato: la sera lei li chiude tutti fuori dalla sua porta”. Ma io non voglio, io non posso, io non devo chiudere tutto ciò fuori dalla mia porta. E allora che cosa faccio? Vado davanti al Tabernacolo e davanti alla Madre. Proprio come avevo detto nella mia prima omelia in mezzo a voi il 27 settembre 2015. Davvero non era retorico quel pensiero. Davanti all’Eucaristia e davanti alla Vergine Maria un parroco trova ancora la speranza … e cerca di non farsi venire il “mal di fegato”.