Noi e l’islam – parte quinta (e ultima)

  • 12/03/2016
  • Don Gabriele

Cari parrocchiani,

una quarta e ultima domanda ci poniamo, aiutati sempre dal Card. Martini (cf discorso 1990): può la Chiesa rinunciare ad annunciare il Vangelo ai musulmani? Occorre fare anzitutto una distinzione. Altro è infatti l’annuncio, altro è il dialogo. Il dialogo parte dai punti comuni, si sforza di allargarli cercando ulteriori consonanze, tende all’azione comune sui campi in cui è possibile subito una collaborazione, come sui temi della pace, della solidarietà e della giustizia. L’annuncio è invece la proposta semplice e disarmata di ciò che appare più caro ai propri occhi, di ciò che non si può imporre né barattare con alcunché, di ciò che costituisce il tesoro a cui si vorrebbe che tutti attingessero per la loro gioia. Per il cristiano il tesoro più caro è la croce, è il mistero di un Dio che si dona nel suo Figlio fino ad assumere su di sé il nostro male e quello del mondo perché noi ne usciamo fuori. Non sempre questo annuncio può essere fatto in modo esplicito, soprattutto nelle società chiuse e intolleranti. E’ un caso oggi non infrequente in alcuni paesi. Ma pure nei paesi cosiddetti liberi ci si scontra talora con chiusure mentali così forti da costituire quasi una barriera. Allora la proposta assume la forma della testimonianza quotidiana, semplice e spontanea, è quella della carità e anche del dono della vita, fino al martirio, come abbiamo visto in questi giorni col martirio delle quattro religiose della Beata Teresa di Calcutta nello Yemen. Con questa distinzione riprendiamo dunque la nostra ultima domanda: può la Chiesa cattolica rinunciare a proporre il Vangelo a chi ancora non lo possiede? Certamente no. Ciò che conterà sarà lo stile, il modo, cioè quelle caratteristiche di rispetto e di amore, quello stile di attenzione e di desiderio di comunicare la gioia nella pace che è proprio di chi accetta le Beatitudini.

Spero che i cinque articoletti su “Noi e l’islam” siano stati di qualche utilità. La conoscenza è importante, anche per poter essere sempre più incisivi nel rendere ragione – come dice San Pietro nella sua prima lettera – della speranza che è in noi.

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