Omelia del parroco nel Mercoledì delle ceneri

  • 11/02/2016
  • Don Gabriele

Mercoledì delle Ceneri 2016 – Castiglione d’Adda

Il testo della preghiera che apre questa liturgia parla, nella sua forma tipica, cioè quella latina, di “milizia cristiana”, e parla anche di “lotta” contra spiritáles nequítias. Infatti noi siamo assaliti da due sorte di nemici: le passioni dentro il nostro cuore, il demonio fuori; entrambi i disordini derivano dalla superbia, ossia dal peccato originale. La “penitenza”, che tanto caratterizza la quaresima, altro non è se non la disposizione interiore del cuore, tradotta nella buona pratica della vita, affinché la “grazia”, che il Signore non ci fa mai mancare, ci conduca alla vittoria pasquale.

A questo pensava la santa Chiesa, quando fu indotta ad anticipare di quattro giorni il digiuno quaresimale e ad aprire questo tempo “forte” cospargendo di cenere la fronte dei suoi figli, e ripetendo a ciascuno di loro le parole, che sono così strettamente collegate con il dramma del peccato originale: “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”.

Come segno d'umiliazione e penitenza, però, l'uso delle ceneri è molto anteriore a questa istituzione. Infatti lo troviamo praticato fin nell'Antico Testamento. Perfino Giobbe, che apparteneva alla nobiltà, copriva di cenere la sua carne dilaniata dalla prova, per implorare così la misericordia di Dio (Gb 16,16). Più tardi il Salmista, nell'ardente contrizione del suo cuore, mescolava cenere nel pane che mangiava (Sal 101,10). Analoghi esempi abbondano nei Libri storici e nei Profeti dell'Antico Testamento. Si avvertiva anche allora il rapporto esistente fra la polvere d'una materia bruciata e l'uomo peccatore.

L'uso liturgico delle Ceneri, prodotte dalla combustione delle palme e degli ulivi della domenica della Palme dell’anno precedente, al Mercoledì con cui si inizia la quaresima non sembra che in origine sia stato imposto a tutti i fedeli, ma solo ai colpevoli di certi peccati soggetti alla pubblica penitenza della Chiesa. In questo giorno, prima della Messa, essi si presentavano in Chiesa dove stava raccolto tutto il popolo, i sacerdoti ricevevano la confessione dei loro peccati, quindi li vestivano di sacco e spargevano sulle loro teste la cenere. Dopo di che, il clero ed il popolo si prostravano a terra, mentre ad alta voce venivano recitati i sette salmi penitenziali. Successivamente aveva luogo la processione, durante la quale i penitenti camminavano a piedi scalzi. Di ritorno, erano solennemente cacciati fuori dalla Chiesa dal Vescovo, che diceva loro: "Vi scacciamo fuori dal recinto della Chiesa a causa dei vostri peccati e delitti, come fu scacciato fuori dal Paradiso il primo uomo Adamo a causa della sua trasgressione". Poi il clero cantava diversi responsori tratti dal Genesi, dov'erano ricordate le parole del Signore che condannava l'uomo ai sudori e al lavoro sulla terra. Quindi venivano chiuse le porte della Chiesa, affinché i penitenti non ne passassero più le soglie fino al Giovedì Santo, giorno nel quale ricevevano solennemente l'assoluzione.

Dopo il XII secolo, la penitenza pubblica cominciò a cadere in disuso; ma l'uso d'imporre in questo giorno le ceneri a tutti i fedeli divenne sempre più generale e prese posto fra i riti essenziali della Liturgia Romana. Questo rito, infatti, sia pur penitenziale è rito solenne.

Una volta i cristiani si avvicinavano a piedi nudi a ricevere l'ammonimento sul niente dell'uomo, e, ancora nel XII secolo, lo stesso Papa, per recarsi da S. Anastasia a S. Sabina, dove si tiene il primo rito penitenziale (la cosiddetta “Statio”), faceva tutto il percorso senza calzatura, come pure i Cardinali che l'accompagnavano. Poi la Chiesa mitigò questo rigore esteriore; ma continuò a dare valore ai sentimenti interni che deve produrre in noi un rito così espressivo.

Nella liturgia precedente alla riforma, il brano di Vangelo odierno continuava con alcuni versetti, nei quali Gesù dice queste parole: Non vogliate accumulare tesori sulla terra, dove la ruggine e la tignola consumano e i ladri scassinano e rubano; ma fatevi dei tesori nel cielo, dove né ruggine né tignola consumano, dove i ladri né scassinano né rubano. Perché dove è il tuo tesoro, quivi è anche il tuo cuore.

Con esse Gesù ci dice che egli non vuole che i cristiani accolgano il digiuno – che va interpretato, come sappiamo, come una seria e globale sobrietà di vita, più intensa rispetto a quella che dovrebbe caratterizzare abitualmente la vita ordinaria – con un'aria triste e lugubre. Si tratta, in definitiva, di relativizzare tutto allo scopo di non dissipare il cuore, che deve tendere al vero tesoro, che è la vita in Cristo. E chi ama fa anche la penitenza con gioia.

La celebrazione della quaresima, quest’anno, cade nell’Anno Santo straordinario. Esso, come ho avuto modo di scrivere sul notiziario parrocchiale settimanale, è caratterizzato dalla misericordia da ricevere da Dio e da donare a nostra volta ai fratelli. Nelle lectiones divinae dei lunedì di quaresima noi mediteremo in particolare sulle opere di misericordia spirituali e corporali: si tratterà di riflettere, alla luce della Parola di Dio, sulla misericordia che noi siamo chiamati a dispensare agli altri. Ma c’è un prima – almeno in senso logico – che è insostituibile: per donare misericordia io devo averla sperimentata. Come per l’amore – che è un altro nome della misericordia – se non ho fatto l’esperienza di essere amato, difficilmente sarò capace di amare. Allora ci chiediamo: abbiamo fatto noi personalmente l’esperienza della misericordia? Se non avverto il bisogno di essere perdonato, come posso sperimentarla? E se non avverto il senso del peccato come posso pensare di aver bisogno di essere perdonato? E se non ho una relazione robusta con Dio come faccio a sapere che cosa è peccato e come è la gioia del vero perdono? Si capisce subito, quindi, che il discorso sulla misericordia si collega a quello del sacramento della Riconciliazione (o confessione). Nessuno si può dare la misericordia da solo: la si può solo ricevere. E nessuno può presumere di averla attenuta se non passando attraverso il “battesimo delle lacrime”, come anche viene chiamato il sacramento della Confessione. Affinché esso sia fruttuoso è necessario che la nostra coscienza sia formata: sappia cioè distinguere il bene dal male. Sono la Parola di Dio, l’insegnamento della Chiesa e la testimonianza della vita dei Santi che contribuiscono alla formazione della nostra coscienza morale. La necessità di tale formazione è sotto gli occhi di tutti, per evitare di diventare dei “piccoli corrotti”. Sentiamo spesso il Papa asserire: “peccatori sì; corrotti no”. Egli lo dice in riferimento a coloro che non riconoscono di far del male con il loro comportamento e vanno avanti imperterriti, corrompendosi appunto: sono come un frutto che gradualmente marcisce. Il Papa ne parla generalmente in riferimento ai grandi corrotti. Ma dobbiamo ricavare un insegnamento anche per noi dalle parole del Papa, noi che in genere non apparteniamo alla schiera dei grandi corrotti. Quando non siamo in grado di riconoscere i nostri peccati, il nostro male, e continuiamo a perpetrarlo, siamo anche noi a rischio “corruzione”. Ci sono persone che da decenni non fanno più un serio esame di coscienza e si limitano a confessare i peccati come si trattasse di una filastrocca. E il male intanto si incancrenisce dentro di noi, si dà ragione da solo, sicché non ne avvertiamo più la gravità … questa è la via della corruzione. Ci sono i grandi corrotti, ma anche i piccoli corrotti. Ci sono peccati che non si confessano più. Generalmente, tutto ciò che ha attinenza con la sfera della sessualità, a partire dagli adolescenti in su, è ritenuto non più “materia” di confessione; allo stesso modo l’ingiustizia sociale è spesso tacitata: non corrispondere il giusto salario, non fare il proprio dovere sul posto di lavoro e via dicendo da molti non sono più ritenuti peccati e via dicendo. Io mi domando: come è possibile fare l’esperienza della misericordia se la confessione è tanto banalizzata? E lo è ai nostri stessi occhi, sicché poi la trascuriamo, la malsopportiamo, la svuotiamo … Il Papa dice anche spesso che Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi, invece, che ci stanchiamo di chiedere perdono: questo succede sia quando non ci si confessa sia quando si svuota la confessione del suo senso e della sua bellezza. Il tempo non mi permette di proseguire, ma chiedo a tutti una seria riflessione sul punto. Farò pervenire, con uno dei prossimi notiziari, un sussidio per la preparazione della confessione personale, sperando sia una iniziativa utile.

Ora continuiamo con la santa Messa. Anche all’inizio della quaresima il Signore non ci lascia soli: nell’Eucaristia egli viene in noi per sostenerci nel cammino di rinnovamento.

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