LA PAURA MANGIA L’ANIMA

  • 21/11/2020
  • Don Gabriele

LA PAURA MANGIA L’ANIMA

Cari fedeli, il titolo di questo mio articoletto è tratto da un film tedesco del 1973: mi ha colpito perché descrive un processo di cui anche noi possiamo essere vittime. La paura ha tanti volti e ognuno di noi, se si guarda dentro, li può scovare. Ma c’è una paura, quella di “perdere la vita”, che davvero “mangia l’anima”. Evidentemente – stante la situazione di pandemia – non sto istigando all’imprudenza: chi viene regolarmente a Messa mi ha sentito ripetere ogni domenica di osservare con molta attenzione le disposizioni anti Covid stabilite dalle autorità competenti. Che cosa voglio dunque dire? Voglio cercare di riflettere con voi sul fatto che la prudenza non deve trasformarsi in “paura”, in “blocco”. Uno stato permanente di paura genera una condizione abituale di depressione, di chiusura, di tristezza, che non fa bene al nostro vivere. Il timore esasperato di ammalarsi è già una malattia, che, insieme alla tristezza, genera difficoltà nelle relazioni interpersonali, chiude in se stessi, amareggia la propria vita e la vita degli altri. Chiaramente non voglio fare qui della psicologia spicciola né presentare “ricette” per superare la paura. Come vostro parroco voglio però dirvi che nella fede noi abbiamo un certo “antidoto” nei confronti della paura: non nel senso che “credendo” sicuramente non ci ammaleremo, o che senz’altro il Signore ci proteggerà dal contagio, quanto piuttosto nella prospettiva che – credendo – si vive un abbandono sereno nelle mani del Padre, il quale sa di che cosa abbiamo bisogno. Il mio, perciò, non è un invito al fideismo, ma ad una fede di affidamento che ci permette di dominare la paura. Ricorderete quella frase del Vangelo di Matteo in cui il Signore Gesù dice ai suoi discepoli: “Non temete, voi valete più di molti passeri”. So benissimo che nel nostro animo subito si affacciano obiezioni del tipo: “Guarda che cosa è successo a questo o a quest’altro, come si fa a fidarsi di Dio”? Eppure io sono certo che, tra la paura di ciò che possa succederci o tra il pessimismo e il fatalismo e la fede “affidamento”, scegliere quest’ultima significhi accedere ad uno spiraglio così luminoso nel buio che ci opprime da ritenere questa scelta come la più ragionevole. Non permettiamo dunque alla paura di mangiarci l’anima, ma compiamo questo “atto anagogico”, portando cioè tutta la vita e le vicende della vita nella sfera della fede: ne avremo luce e pace, che renderà più bello il vivere.

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