L’EQUIVOCO

  • 29/08/2020
  • Don Gabriele

L’EQUIVOCO

Cari fratelli e sorelle, ritorno su una questione che ho già accennato recentemente in qualche omelia domenicale, una questione che mi angustia parecchio. Si tratta dell’equivoco che si è generato in molti battezzati nostri concittadini. E l’equivoco è questo: l’aver scambiato la proposta di Cristo, il Vangelo, con le “pratiche religiose”. Ci sono nostri fratelli e sorelle che hanno rifiutato la fede cristiana perché sono caduti in questo equivoco. Sono stati battezzati, hanno seguito il catechismo, hanno ricevuto i sacramenti, frequentato l’oratorio, ma poi … sono spariti. Che cosa è successo? Non è nata la fede, cioè la relazione personale con Gesù. Ci si è stufati della Messa, della confessione, della catechesi perché ormai “non dicevano più niente”. E ora mi chiedo: che cosa è mancato da parte nostra (preti, catechisti, educatori?) e che cosa è mancato da parte loro? Da parte nostra è forse mancata la capacità di annunciare il Vangelo nella sua bellezza, nella sua attrattiva. Probabilmente lo abbiamo sovraccaricato di parole spurie, lo abbiamo “addomesticato”, “politicizzato”, “snervato”. Quando sento le parole del Vangelo mi accorgo che sono brucianti, sempre nuove, densissime, sbalorditive, inedite …Come è stato possibile togliere loro questo imprinting? Perché non siano riusciti a veicolarle dentro il cuore di questi ragazzi e ragazze, di questi fratelli e sorelle con tutta la loro carica, con tutta la loro promessa di vita buona? E’ un grosso cruccio, una grande sofferenza. Vorrei che fosse condivisa da tutti gli operatori pastorali della parrocchia. Questo è il primo punto: accusiamo noi stessi! Ritengo, tuttavia, sia onesto dire anche qualcosa circa ciò che è mancato loro, mancato a questi ragazzi e ragazze, fratelli e sorelle. E’ mancata spesso, anche se non sempre (occorre sempre distinguere, non fare di ogni erba un fascio), è mancata alla spalle una famiglia che per prima ha vissuto la fede come relazione con Gesù e non come semplice e stucchevole pratica religiosa; è mancata la perseveranza, la quale sola ottiene risultati; è mancata l’accettazione della fatica di una sequela che chiede di uscire da se stessi (che molto concretamente significa alzarsi dal letto per incontrare il Signore Gesù nell’Eucaristia della domenica etc.), è mancata la sincerità, preferendo rifugiarsi dietro gli alibi (“non mi dice più niente”, ma hai mai ascoltato con attenzione? ti sei mai messo/a in gioco davvero?); è mancato il coraggio del confronto, preferendo la scorciatoia del pregiudizio (“sempre la solita solfa”, “il parroco non mi piace”, “la Chiesa è corrotta” ma sei mai andato/a dal prete o dal catechista a dire i tuoi perché, a contestare, a domandare, ad esigere spiegazioni?). Troppo comodo decidere: “basta” da solo/a senza contraddittorio, sentendosi Dio in terra, uno che della sua vita può fare quello che vuole …

Son riflessioni a caldo buttate lì mentre questo strano mese di agosto volge al termine. Non so se i destinatari della seconda parte le leggeranno, credo purtroppo di no. Vorrei comunque che fossero sinceri, anche quando dicono “non me ne frega più niente”: te ne è mai fregato e non ti chiedi il perché? Quello che ho detto prima per gli operatori pastorali, ossia: “accusiamo noi stessi”, vale anche per questi fratelli e sorelle: fate la prova, fate lo sforzo anche di voi di “accusare voi stessi”, come noi facciamo lo sforzo di “accusare noi stessi”, forse qualcosa piò ripartire.

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