Omelia del Parroco nella Messa della Ss. Trinità, domenica 7 giugno 2020

  • 07/06/2020
  • Don Gabriele

1. Abbiamo ascoltato, nella prima Lettura (Es 34,4b-6.8-9), un testo biblico che ci presenta la rivelazione del nome di Dio. E’ Dio stesso, l’Eterno e l’Invisibile, che lo proclama, passando davanti a Mosè nella nube, sul monte Sinai. E il suo nome è: “Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà”. San Giovanni, nel nuovo Testamento, riassume questa espressione in una sola parola: “Amore” (cfr 1 Gv 4,8.16).

Lo attesta anche il Vangelo odierno: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). Questo nome esprime dunque chiaramente che il Dio della Bibbia non è una sorta di monade chiusa in se stessa e soddisfatta della propria autosufficienza, ma è vita che vuole comunicarsi, è apertura, relazione. Parole come “misericordioso”, “pietoso”, “ricco di grazia” ci parlano tutte di una relazione, in particolare di un Essere vitale che si offre, che vuole colmare ogni lacuna, ogni mancanza, che vuole donare e perdonare, che desidera stabilire un legame saldo e duraturo.

E’ in Gesù che si rivela pienamente il volto di Dio, uno nell’essenza e trino nelle persone: Dio è Amore, Amore Padre - Amore Figlio - Amore Spirito Santo. O anche: il Padre è Amante, il Figlio è l’Amato, lo Spirito Santo è l’Amore.

Nelle letture che abbiamo ascoltato c’è un contenuto principale che riguarda Dio, e in effetti la festa di oggi ci invita a contemplare Lui, il Signore, e ci invita a salire in un certo senso “sul monte” come fece Mosè. Questo sembra a prima vista portarci lontano dal mondo e dai suoi problemi, ma in realtà si scopre che proprio conoscendo Dio più da vicino si ricevono anche le indicazioni fondamentali per questa nostra vita: un po’ come accadde a Mosè, che salendo sul Sinai e rimanendo alla presenza di Dio ricevette la legge incisa sulle tavole di pietra, da cui il popolo trasse la guida per andare avanti, per trovare la libertà e per formarsi come popolo in libertà e giustizia.

2. Da questa realtà di Dio, che Egli stesso ci ha fatto conoscere rivelandoci il suo “nome”, cioè il suo volto, deriva poi una certa immagine di uomo, cioè il concetto di persona. E questa è un’acquisizione specifica della rivelazione biblica, che il cristianesimo ha contribuito a diffondere in tutto il mondo, non senza difficoltà, lottando a volte anche con chi apparteneva alla stessa fede (cf vicenda degli indios ai quali i conquistadores negavano avessero un’anima, ma il Papa intervenne energicamente, facendo riferimento proprio al dato della rivelazione biblica di un Dio personale ad immagine del quale noi tutti siamo creati come persone …).

Se Dio è essere in relazione; la creatura umana, fatta a sua immagine e somiglianza, rispecchia tale costituzione: essa pertanto è chiamata a realizzarsi nel dialogo, nel colloquio, nell’incontro: è un essere in relazione. In particolare, Gesù ci ha rivelato che l’uomo è essenzialmente “figlio”, creatura che vive nella relazione con Dio Padre, e così in relazione con tutti i suoi fratelli e sorelle.

Si vede bene che questa concezione di Dio e dell’uomo sta alla base di un corrispondente modello di comunità umana, e quindi di società. Un modello di umanità come famiglia, trasversale a tutte le civiltà, che noi cristiani esprimiamo affermando che gli uomini sono tutti figli di Dio e quindi tutti fratelli. Si tratta di una verità che sta fin dal principio dietro di noi e al tempo stesso ci sta sempre davanti, come un progetto a cui sempre tendere in ogni costruzione sociale. Verità che sembra acquista ma che va sempre di nuovo fatta nostra, come i fatti di questi giorni negli Stati Uniti ci attestano: non c’è nessuna superiorità di una razza su un’altra: se qualcuno afferma il contrario costui reca offesa al Creatore.

3. C’è dunque un “primato di Dio”: tutta la vita e l’opera della Chiesa dipendono dal mettere al primo posto Dio, ma non un Dio generico, bensì il Signore con il suo nome e il suo volto, il Dio dell’Alleanza che ha fatto uscire il popolo dalla schiavitù d’Egitto, ha risuscitato Cristo dai morti e vuole condurre l’umanità alla libertà nella pace e nella giustizia.

Nello stesso tempo c’è la scelta di porre al centro la persona e l’unità della sua esistenza, nei diversi ambiti in cui si dispiega: la vita affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità sua propria, la tradizione, la cittadinanza.

Il Dio uno e trino e la persona in relazione: questi sono i due riferimenti che la Chiesa ha il compito di offrire ad ogni generazione umana, quale servizio alla costruzione di una società libera e solidale. La Chiesa lo fa certamente con la sua dottrina, ma soprattutto mediante la testimonianza.

Questa testimonianza è chiesta anche alla nostra comunità parrocchiale; ci dobbiamo chiedere perciò con realismo: quale idea di Dio abbiamo e di conseguenza quale idea di uomo abbiamo? Nell’esperienza di sofferenza, di privazione e di morte delle passate settimane a quale Dio ci siamo rivolti? Quale Dio abbiamo pregato? E l’umanità sofferente, impotente, spaventata che abbiamo sperimentato nelle settimane passate, quale idea di creatura umana ci ha restituito?

Non è forse vero, miei fratelli, che la cosa più preziosa che abbiamo scoperto (purtroppo non tutti) in questi mesi è stata la possibilità di pregare Dio, di avere Lui al quale dire, a volte tra grida e lacrime, i nostri perché e i nostri bisogni? E non è forse altrettanto vero che abbiamo sperimentato una comunione nuova tra noi, fatta di attenzione, di solidarietà, di premura, di trepidazione gli uni per gli altri?

Ecco, la Chiesa e qui localmente la nostra comunità sono chiamate ad offrire la testimonianza della della comunione. Questa realtà non viene “dal basso” ma è un mistero che ha, per così dire, le “radici in cielo”: proprio in Dio uno e trino.

E la testimonianza della comunione non è facile perché è sempre insidiata dall’egoismo, dalle durezze, dai capricci. La comunione non è qualcosa di melenso, ma di robusto, che va costruito a dispetto di tutti i profeti di sventura che non mancano in nessuna comunità e tantomeno nella nostra. La comunione si nutre di stima reciproca, di umiltà, di generoso servizio, di cordialità, di passione per l’unità. Per testimoniare la comunione dobbiamo dirci dei “no” per dei “sì” più grandi.

Per vivere la comunione è necessario avere cura della formazione spirituale e catechistica, una formazione “sostanziosa”. Lo dico agli adulti e ai giovani: coltivate una fede pensata, una fede semplice come quelle dei bambini ma tenace come la loro.

Vorrei concludere con un augurio per la nostra comunità, che riprendo dalla stupenda preghiera di Mosè, che abbiamo ascoltato nella prima Lettura: il Signore cammini sempre in mezzo a noi e faccia di noi la sua eredità (cfr Es 34,9). Sì, a volte, Signore, siamo un popolo dalla testa dura, ma tu perdona tutte le nostre colpe e i nostri peccati contro l’unità e fa di noi il tuo popolo santo.

Tra un po’ ci accosteremo all’Eucaristia: nutrendoci di essa la vita divina dell’amabile Trinità circolerà in noi e dentro la nostra comunità; non poniamo ostacoli al diffondersi della vita di Dio in noi e intorno a noi.

(questa omelia, tranne che nelle parti che fanno riferimento alla comunità parrocchiale di Castiglione, si ispira ad un’omelia tenuta da Benedetto XVI, il 18 maggio 2008, solennità della SS. Trinità, durante la visita pastorale a Genova)

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