UN PASSAGGIO DELICATO

  • 23/05/2020
  • Don Gabriele

UN PASSAGGIO DELICATO

Cari fratelli e sorelle, siamo ad un passaggio delicato di cui dobbiamo percepire la rilevanza. Alludo al fatto che il peggio sembra passato, per cui la tentazione di voler riprendere esattamente dal punto in cui eravamo si può presentare in maniera insidiosa. Allora pongo a me e a voi qualche domanda. Rapporto con Dio: come era prima? come potrebbe essere adesso? Ho già ricordato più volte che Dio non vuole il nostro male, per cui non ha voluto il coronavirus. Ma è arrivato. Posso fare finta che non c’entri nulla questo fatto col mio rapporto con Dio? Come mi sono rivolto a Lui in queste settimane? L’ho pregato, L’ho bestemmiato, L’ho negato? Dio non manda il male, ma il male è occasione di convertirci. Siamo diventati più consapevoli della nostra creaturalità, della nostra fragilità, del nostro bisogno di trascendenza? Ho ancora negli occhi gli occhi dei familiari dei nostri molti, troppi defunti, durante la breve liturgia di sepoltura dei loro cari. Si poteva solo parlare con gli occhi. E in quel “dialogo” molti si sono resi conto che, in quella tragedia, l’unica sponda restava Dio, Dio che ha preso nelle sue mani la vita dei nostri cari, Dio che prendeva nelle sue mani la vita di chi era rimasto ancora qui pellegrino, impedendo che cadesse nella disperazione. Dio, tante volte dimenticato, tante volte bestemmiato, tante volte tradito, era ancora lì a soccorrere, a tirarci su il viso, come faceva la nostra mamma, dopo il pianto a dirotto, quando si aveva la “candela al naso”. Lo dimenticheremo ancora Dio, vivendo come se Lui non esistesse? Decideremo ancora la domenica – spazio aperto per Dio nelle nostre settimane – di far finta che Egli non esista, non ci chiami, non voglia vederci intorno al suo altare? Rapporto con gli altri: come era prima? come potrebbe essere ora? Gli altri, come diceva Sartre, sono l’ “inferno” per me, o sono i miei compagni di viaggio, coloro che hanno attraversato con me questa calamità, coloro che hanno bisogno di un sovrappiù di calore, di stima, di amicizia, di aiuto, di comprensione, di pazienza, di perdono, di fiducia? Non è forse venuto il momento di accorgerci che stiamo camminando insieme e che se ci si aiuta si è più sicuri, si è anche più contenti? Non è forse giunto il momento di riscoprire la comune dote di umanità, che ha messo in luce sì la sua fragilità, ma che può lasciar trasparire nuove solidarietà, nuovi modi di stare insieme, nuove avventure, nuove scommesse, nuove alleanze? Son pensieri di getto, fratelli miei, buttati giù una domenica sera, mentre le nostre campane suonano l’Ave Maria, ricordando che il giorno in procinto di terminare ci consegna per la notte nella braccia della Vergine. Possiamo ispirarci davvero a lei, per far pulsare un amore nuovo per Dio e per i fratelli, come fu il suo. Se davvero vogliamo che tutto questo dolore, questo impegno, questa lotta, questa speranza portino frutto dobbiamo ricominciare, come i bambini, ad “imparare” ad amare Dio e i fratelli. Nessuno – si dice – nasce “imparato” e noi lo abbiamo scoperto sulla nostra pelle in questi mesi. Torniamo a scuola e incominciamo di nuovo, perché molto del vecchio modo di fare non era buono.

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