Omelia del Parroco nell'Azione Liturgica per la Passione e Morte del Signore 10 aprile 2020

  • 10/04/2020
  • Don Gabriele

Cari fratelli e sorelle,

in questa breve meditazione vi propongo alcune riflessioni tenute dal papa S. Paolo VI nell’udienza generale del 2 aprile 1969. In esse, infatti, il Successore di Pietro parla del dolore di Cristo e del dolore della Chiesa. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che se la sofferenza dovuta alla pandemia in atto riguarda tutti gli uomini, esiste un dolore direi “specifico” per la Chiesa, che è il Corpo di Cristo, il Corpo piagato di Cristo in tanti suoi figli e figlie.

Diceva Paolo VI a coloro che lo ascoltavano quel giorno: “Voi desiderate, (…) partecipare in qualche modo allo stato d’animo della Chiesa durante la Settimana Santa, che precede la celebrazione del massimo avvenimento della storia e dei destini umani, cioè la risurrezione del Signore Gesù, voi trovate la Chiesa non in festa, ma tutta assorta in una grave e dolorosa meditazione, quella della Passione di Cristo, delle sue ineffabili sofferenze, della sua Croce, della sua morte. Meditazione penosissima, perché obbliga il nostro pensiero a considerare in Cristo, il primogenito dell’umanità (cfr. Rom. 8, 29; Col. 1, 15), i misteri più oscuri e più ripugnanti, e tuttavia realissimi, quelli del dolore, del peccato, della morte, non solo riferiti a Gesù e alla tragedia inconcepibile della fine della sua vita nell’economia temporale presente, ma a considerarli altresì riferiti a noi, a ciascuno di noi, in un rapporto così diretto e così inevitabile da riflettere, anzi da rinnovare misticamente in noi quel dramma sconfinato, fino a farcelo capire, per quanto a noi possibile, come il sacrificio per eccellenza, il sacrificio dell’Agnello di Dio, il sacrificio dell’incomparabile, oceanico amore di Cristo per noi, e insieme come la fonte beatissima della nostra fortuna, cioè della nostra Redenzione.

La Chiesa, in questa misteriosa liturgia, è presa da immensa pena. Ricorda, ripete nei suoi riti, rivive nei suoi sentimenti la Passione di Cristo. Essa stessa ne prende coscienza, ne soffre, ne piange. Non disturbate il suo lutto, non distraete il suo pensiero, non irridete al suo rimorso, non crediate follia la sua angoscia. Anche voi circondate del vostro silenzio il grido del suo dolore; compiangetela; onoratela della partecipazione al suo altissimo e spirituale cordoglio.

(…) E’ in questa ricorrenza pasquale che la Chiesa, più che in ogni altro momento, prende coscienza dei propri dolori, li assapora, li patisce, li accetta umilmente, e cerca di santificarli, e di estrarne il documento della sua identità a Cristo Signore e Maestro, del suo amore desideroso di fondere le proprie pene con quelle del Crocifisso (cfr. il tema ricorrente dello Stabat Mater), e di convertire le proprie umiliazioni e le proprie sconfitte in meriti di penitenza, di purificazione, di redenzione. Di maggiore virtù, di maggiore coraggio, di maggiore speranza”. Così Paolo VI.

Cari fratelli, davvero la Passione del Signore continua nel suo Corpo che è la Chiesa. Lo abbiamo imparato in queste settimane e in questi mesi. Questa mattina pensavo a quanti nostri fratelli, in ospedale, avranno guardato il crocifisso posto sulle pareti delle loro camere. Sguardi diversi: di supplica, di angoscia, di dubbio, di speranza. “Guarderanno a colui che hanno trafitto” abbiamo sentito nella narrazione delle Passione: mai come in questi mesi il Crocifisso è stato l’oggetto dei nostri sguardi. Ebbene non sono stati sguardi inutili: il Crocifisso raccoglie in se tutto il dolore del mondo, gli dà un senso, un orientamento. Il Crocifisso è la porta del cielo, perché tutto il dolore è destinato ad essere trasfigurato nella gioia della Risurrezione. Senza il Crocifisso ogni pena, ogni dolore, ogni morte è un assurdo, ma col Crocifisso nulla è perduto. Il Crocifisso è la fonte di ogni consolazione.

Nella Passione leggiamo: “Si fece buio da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio su tutta la terra”. Commenta padre Ermes Ronchi: “Notte in pieno giorno. (…). Su quell’uomo appeso nudo nel vento il cielo stende il pudore dell’ombra. E’ il momento in cui tutto si oscura: morte, derisione, ultimo naufragio. Ma è dal buio che nasce la luce (…). Questa annotazione dei Vangeli, che può apparire una delle pagine più buie della Bibbia, come un addensarsi ulteriore di angoscia sul Golgota, è invece una parola piena di luce. Perché mi rassicura che alle tenebre è fissato un limite, un argine al dolore, un confine alle lacrime. Poi il sole ritorna. Alla sofferenza è concesso di infierire sui giorni dell’uomo, ma ha confini segnati, durerà un tempo, per ore o mesi, ma avrà comunque un termine. Poi il cielo torna chiaro. Quelle tre ore di buio su Gerusalemme, su tutta la terra, quando il male è così forte che non vedi niente, quando le lacrime velano gli occhi e spengono anche i volti più cari, quel tempo duro è anche limitato; da mezzogiorno alle tre è una parola cronologica posta da Dio a presidio della speranza. Ciò che è accaduto sul Calvario, accadrà anche nella nostra casa: il sole ritorna” (in Luoghi dell’Infinito, Aprile 2020, p. 15).

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