Omelia tenuta a braccio dal Parroco nella Messa della solennità di S. Giuseppe 2020
Omelia tenuta a braccio dal Parroco nella Messa della solennità di S. Giuseppe 2020
Cari fratelli e sorelle, ci fermiamo brevemente per considerare insieme alcuni aspetti della figura di S. Giuseppe. Mi limito a tre brevi pensieri.
1. San Giuseppe e il timore di Dio
Innanzi tutto Giuseppe è un uomo che ha vissuto il cosiddetto "timore di Dio". È una realtà un po' sconosciuta quella del timore di Dio, però noi sappiamo che Timore di Dio non significa paura. L'amore perfetto, dice la Scrittura, scaccia il timore e il cristianesimo é tutto dentro la prospettiva dell'amore, la paura di Dio è stata definitivamente superata. Nel momento in cui Gesù muore, il velo del Tempio si squarcia in due dall'alto in basso, Dio è diventato così "prossimo" a noi che la paura di Dio è del "numinoso" in generale, per noi cristiani, per noi che abbiamo accolto il mistero di Gesù è svanita. E allora che cos'è il timore di Dio? Lo sappiamo: il timore di Dio è il non volere dispiacerGli, far sì che la nostra vita e le nostre scelte e il nostro modo di essere, non gli dispiacciano, il desiderio di non contristarlo. Se noi vediamo la vicenda di Giuseppe, è stata tutta nell'ottica del timore di Dio, una attenzione grandissima. Giuseppe di primo acchito non vuole tenere con sé Maria perché si rende conto che li c'è Dio che sta facendo qualcosa di grande; quindi Giuseppe si sente indegno e dice: "No mi ritraggo". Poi vediamo che il Signore stesso dice: "No!” Io voglio che tu prenda con te Maria. Ma se guardiamo la vicenda di Giuseppe per come la Scrittura ce la presenta, possiamo davvero sottolineare questo aspetto: Giuseppe è un uomo che non vuole dispiacere a Dio, un uomo che ha fatto talmente sua la relazione con Dio che gli sarebbe insopportabile recarGli dispiacere. Allora la prima cosa che ricaviamo da questa solennità è proprio questo il timore di Dio, la volontà di non dispiacerGli, la volontà di compiacerLo.
2. Giuseppe e la familiarità con Dio
La seconda cosa che voglio sottolineare e che ricaviamo dalla vicenda di Giuseppe è la "familiarità" con Dio. Giuseppe per tanti anni della sua vita è stato a contatto diretto con Gesù, il Figlio di Dio incarnato, e ha vissuto una familiarità esattamente come tutti i nostri papà la vivono nei confronti dei loro figli, qualcuno in più, qualcuno in meno (ci sono padri eccezionali, ci sono padri anche mediocri purtroppo). In Giuseppe vediamo questa familiarità costante che si è espressa nella cura del Figlio di Dio. La vicenda di Giuseppe ci dice che la familiarità con Dio è possibile e la si vive nello spazio, nello spazio per noi privilegiato che è la preghiera. La preghiera è lo spazio della nostra familiarità con Dio, dove noi possiamo esprimerci con tutta la confidenza, dove il nostro cuore si può aprire con tutto quello che porta dentro di sé. È una familiarità che ci restituisce un volto di Dio vicino, prossimo, un volto di Dio che ormai ha perso i connotati della divinità lontana. E anche nella tragedia che stiamo vivendo in questi giorni è giusto sì supplicare il Signore che ci aiuti, che allontani questo flagello, che lo contenga, ma nello stesso tempo non dobbiamo dimenticare che la fede cristiana ci restituisca questo dato: Dio è uno che vive con noi questo flagello, vive con noi questa tragedia e la familiarità con lui ci aiuta a vivere, giorno dopo giorno, questi giorni pesanti, per tanti versi tristi. Un Dio vicino. In una delle rivelazioni che Gesù fa a Teresa d'Avola, così devota a S. Giuseppe, dice alla santa: “Pensa figliola che dopo morte non mi potrai più servire come ora. Mangia per me, dormi per me, quello che fai fallo per me, come se non vivessi più per te, ma solo per me” .Ecco questo “per”; abbiamo bisogno di riscoprire la dimensione della fede come familiarità con Dio, perché più scendiamo in questa prospettiva, più impariamo a conoscerLo ed egli si rivela a noi per quello che è. Allora possiamo dire che attraverso la familiarità che si esprime soprattutto nella preghiera, noi impariamo a conoscero. Pensate come S. Giuseppe ha conosciuto Dio: una cosa meravigliosa! Ha visto Dio in fasce, ha visto Dio adolescente, ha visto Dio diventare giovane, ha visto Dio diventare uomo e questo attraversando le pieghe di tutti i giorni. Ci aiuti S. Giuseppe a vivere questa familiarità.
3. Giuseppe e l’ “adultità”
L’ultimo pensiero di questa solennità ci aiuta a considerare quella che possiamo chiamare l ‘ “adultità ". E’ molto bella questa cosa. Dio ha trattato Giuseppe da adulto. Tante volte nel nostro rapporto con Dio questo aspetto non lo sosteniamo a sufficienza. C'è una stagione nella vita, per noi adulti, dove la fede deve diventare adulta, e una fede adulta è un uomo e una donna che si sentono trattati da adulti da parte di Dio. Guardiamo come Dio ha trattato da adulto Giuseppe; gli ha dato tutto, gli ha dato suo Figlio, gli ha dato Maria, gli ha dato tutto, lo ha trattato veramente da adulto, cioè gli ha fatto capire che era in grado di reggere quelle responsabilità che gli ha affidato e reggere le responsabilità è tipico degli adulti. Allora nel nostro rapporto con Dio vediamo di vivere anche questa dimensione della “adultità” che ci restituisce le responsabilità che Dio ci affida perché ci ritiene adulti. Pensiamo anche in questa congiuntura, come possiamo noi vivere l' “adultità”. Come possiamo vivere le responsabilità che Dio ci ha dato e ci affida in questa situazione particolare, ma più generalmente, andando anche oltre a questa situazione. Solamente nella misura in cui sentiamo la responsabilità che la nostra fede comporta, possiamo dire che la nostra fede è diventata adulta. E non una fede intimistica, neppure - scusate l'espressione non adatta – una fede talmente estroversa che diventa solamente apprezzabile nella misura in cui produce qualcosa di nuovo all'interno del vivere sociale. Dobbiamo stare attenti a queste polarizzazione che non sono espressioni di una fede adulta. Quello che sottolineo soprattutto (si è la nostra risposta come adulti, quello che sta a monte, Dio che ci tratta da adulti veramente. A volte noi nel rapporto con Dio rischiamo di essere sempre dei bambini, la nostra fede deve essere semplice come quella dei bambini, ma non significa che il rapporto con Dio deve essere sempre come quello dei bambini, c'è una progressione, ci tratta da adulti e si aspetta che viviamo da adulti. Ecco cari fratelli e sorelle, volevo dire a me prima di tutto questi tre pensieri e affidarli alla vostra meditazione. La festa di S. Giuseppe ci ricorda il timore di Dio nella accezione a cui facevo riferimento, ci ricorda la familiarità con Dio e ci ricorda l' “adultità”, il modo in cui Dio ci tratta da adulti.