Il matrimonio e le "unioni di fatto"

  • 16/01/2016
  • Don Gabriele

Cari parrocchiani,

il progetto di inserire nel nostro ordinamento una normativa relativa alle cosiddette “unioni civili”, mi offre l’occasione di offrire qualche argomento di riflessione, desumendolo da un documento della Santa Sede del 2000.

Occorre comprendere le differenze sostanziali tra matrimonio e unioni di fatto. È qui che si radica la differenza tra la famiglia d'origine matrimoniale e la comunità originata da un’unione di fatto. La comunità familiare nasce dal patto d’alleanza dei coniugi. Il matrimonio che sorge da questo patto d'amore coniugale non è una creazione del potere pubblico, bensì un'istituzione naturale e originaria che lo precede. Nelle unioni di fatto, al contrario, si mette in comune l’affetto reciproco, ma allo stesso tempo manca quel vincolo coniugale di natura pubblica e originaria che fonda la famiglia. Famiglia e vita formano una unità che deve essere protetta dalla società, in quanto si tratta del nucleo vivente della successione (procreazione e educazione) delle generazioni umane. Nelle società aperte e democratiche di oggi, lo Stato e i poteri pubblici non devono istituzionalizzare le unioni di fatto, accordando loro uno statuto simile a quello del matrimonio e della famiglia. Tanto meno equipararle alla famiglia fondata sul matrimonio. Si tratterebbe di un uso arbitrario del potere che non contribuirebbe al bene comune, poiché la natura originaria del matrimonio e della famiglia precede e supera, in maniera assoluta e radicale, il potere sovrano dello Stato. Una prospettiva serenamente distante dall'aspetto arbitrario o demagogico, invita a riflettere molto seriamente, all’interno alle diverse comunità politiche, sulle differenze essenziali tra l'apporto vitale e necessario al bene comune della famiglia fondata sul matrimonio e l'altra realtà delle semplici convivenze affettive. Non sembra ragionevole sostenere che le funzioni vitali delle comunità familiari, centrate sull'istituzione matrimoniale stabile e monogamica, possano essere svolte in forma stabile e permanente dalle unioni basate unicamente su relazioni affettive. Come fattore essenziale di esistenza, stabilità e pace, la famiglia fondata sul matrimonio deve essere attentamente protetta e promossa in una visione più ampia che tenga conto dell’avvenire e dell'interesse comune della società. L'uguaglianza di fronte alla legge deve rispettare il principio di giustizia, che esige che si tratti ciò che è uguale come uguale, e ciò che è diverso come diverso; cioè che ciascuno abbia ciò che gli è dovuto in giustizia. Questo principio di giustizia si infrangerebbe se si desse alle unioni di fatto un trattamento giuridico simile o equivalente a quello spettante alla famiglia fondata sul matrimonio. Se la famiglia matrimoniale e le unioni di fatto non sono simili né equivalenti nei loro doveri, funzioni e servizi alla società, non possono neanche essere simili né equivalenti nello status giuridico. Il pretesto addotto da coloro che premono per il riconoscimento delle unioni di fatto (cioè la "non discriminazione"), comporta una vera discriminazione della famiglia matrimoniale, che sarebbe posta su un piano di uguaglianza con tutte le altre forme di convivenza, senza tenere assolutamente conto dell’esistenza o meno di un impegno pubblico di fedeltà reciproca, di stabilità indissolubile e di generazione-educazione dei figli. La tendenza attuale di alcune comunità politiche a discriminare il matrimonio riconoscendo alle unioni di fatto uno statuto istituzionale simile o equivalente a quello del matrimonio e della famiglia o perfino equiparandolo, è un grave segno di deterioramento della coscienza morale sociale, di "pensiero debole" di fronte al bene comune, quando non si tratta di una vera e propria imposizione ideologica esercitata da gruppi di pressione influenti.

E’ triste dover nuovamente sottolineare come, invece di intraprendere una seria politica a favore della famiglia, si tenda ad indebolirla sempre di più con iniziative come l’attuale. Trascurare la famiglia è l’equivalente di tagliare il ramo su cui una Nazione siede. Non manchi perciò la preghiera e il coraggio dei cattolici in questo frangente.

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