Omelia del parroco alla Messa della notte di Natale 2019

  • 25/12/2019
  • Don Gabriele

Notte di Natale 2019

1. Cari fratelli e sorelle, siate tutti i benvenuti a questa celebrazione del nuovo Natale del Signore. Essa porterà frutto nella misura in cui crediamo che Egli è risorto e vivo. Solo così la celebrazione del Natale è vera, altrimenti sarebbe la commemorazione di un morto, che nulla avrebbe da offrirci. Cari fratelli e sorelle, per celebrare il Natale non bastano i buoni sentimenti, che tramontano nel giro di qualche ora: solo la fede ci fa celebrare il Natale nella sua verità, che porta luce, consolazione e sostegno alla nostra unica vita.

2. Il Vangelo che è appena stato proclamato è come una contemplazione del presepe, è la descrizione della nascita di Gesù. Questa descrizione lascia però sorpresi. In essa, infatti, Gesù non appare mai in prima persona. Il brano evangelico parla di altri personaggi: nella prima parte si vengono a sapere notizie nuove su Giuseppe, su Maria, sul loro viaggio; la seconda parte narra dei pastori, del loro stare nottetempo a guardia del gregge, di ciò che avviene loro. All’interno di queste due scene, da una parte Giuseppe e Maria e dall’altra i pastori, è contenuto, per così dire, Gesù. Gesù fatto bambino è in mezzo a tutto ciò che si muove intorno a Lui; non descritto, non lodato o ammirato, ma capace di dare significato a tutto ciò che intorno a Lui si manifesta. E’ Egli stesso il significato di tutto ciò che avviene: Giuseppe va a Betlemme dove Gesù verrà alla luce; Maria compie la sua opera mirabile che dà alla luce Gesù, lo avvolge nelle fasce, lo depone nella mangiatoia. Tutti i gesti di Maria sono rivolti a Gesù. I pastori vengono illuminati nella notte, camminano, si dirigono verso Gesù, fasciano Gesù con la loro tenerezza. Gesù tace, non può ancora dire parole, non cammina, non si muove e, tuttavia, tutti si muovono e parlano intorno a Lui. Avviene, già fin dalla nascita, quello che avverrà nella scena della resurrezione per come è descritta dall’evangelista Giovanni (capitolo XX versetto 19) quando dice: “Venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a Voi!”. Così, fin dal momento della Sua nascita, Gesù viene, si pone in mezzo ai nostri avvenimenti tristi e lieti, alla nostra vita per quello che è, a tutti i movimenti delle persone, quelle che sanno di muoversi da Lui, per Lui e attorno a Lui, ma anche in mezzo a coloro che non lo sanno; Gesù dice a tutti: “Pace a voi!”. Il presepe che noi facciamo e che è un’immagine del nostro mondo (se ne vedono tanti di presepi costruiti come simbolo della nostra realtà presente) porta il riflesso delle guerre, della fame, delle sofferenze, della solitudine, del lavoro umano, ma tutto questo è fatto per mettervi al centro Gesù, perché il Figlio di Dio non può essere collocato da parte, lontano da noi, ma sta dentro ogni piega della nostra esistenza. Ora, questo piccolo bambino che potrebbe sembrare qualcosa di marginale nel flusso dei grandi eventi del mondo è invece segno inconfondibile che con Lui, in Lui, tutto ciò che nel mondo è piccolo, povero, debole, respinto è al centro. Anche noi cristiani dobbiamo cercare di fare proprio questo: mettere al centro dell’attenzione della nostra Chiesa, della nostra parrocchia, tutto ciò che siamo tentati di dimenticare perché troppo piccolo, troppo emarginato, troppo fragile per avere una voce, troppo oscuro per destare l’interesse. Proprio tutto questo, invece, con Gesù, in Gesù bambino, è al centro. Gesù fin dall’inizio attira a Sé, alla Sua semplicità, umiltà e povertà tutto il mondo, con una attrazione che si concluderà con la Croce, sulla Croce, dalla quale Egli attira tutto a Sé; una attrazione che si perpetua nell’umiltà dell’Eucarestia che noi celebriamo, dalla quale Gesù attira a Sé ancora oggi tutto il mondo (il n. 2 di questa omelia è ispirato ad un’omelia che il card. Martini tenne in duomo a Milano).

3. Noi siamo dunque come personaggi di questo presepe ideale che abbraccia l’universo, al cui centro sta Gesù. Siamo coloro che sono comparsi attorno al Signore per fare onore a Lui, ma in qualità di comparse attive, vive, responsabili. Come Maria e Giuseppe che Lo adorano, che Lo fasciano, che Lo nutrono con cura, come i pastori che corrono a salutarLo, siamo e vogliamo essere tra tutta quella schiera di persone di buona volontà che vanno verso il presepe, che riconoscono ufficialmente che Gesù è al centro. E nello stesso tempo, vogliamo e dobbiamo essere i protagonisti di un’azione evangelica del farsi prossimo per la quale, assieme a Gesù, assumiamo come punto di riferimento ogni debolezza, ogni povertà, ogni fragilità. E ciò non perché pensiamo di essere rilevati solo se tradurremo “socialmente” il Vangelo; oppure perché “ci sentiamo bene” quando abbiamo fatto qualcosa per gli altri, cose buone ma che sono ancora tutte ancorate al nostro “ego”, ma perché la fede è tale solo se si traduce nelle opere della fede, cioè nell’amore; la fede che non genera vita buona intorno a sé è morta in se stessa. Il Natale dunque ripropone in maniera forte la nostra responsabilità nei confronti del mondo. Ci spinge a domandarci: “Io come abito il mondo, che è intorno a me?” Con lo stile e le scelte del Figlio di Dio che condivide la minorità, la fatica, lo “sporcarsi le mani”, la fiducia incondizionata in Dio, la preghiera come componente abituale ed essenziale del mio cammino storico, la dimensione oblativa che conduce al frutto maturo dell’amore? oppure ….

Mentre con atto interiore e convinto crediamo che il Figlio di Dio assume in sé ogni umana fatica e ogni umana attesa; mentre con atto interiore e convinto crediamo che egli attraversa la mia vita nel sacramento del suo Corpo e del suo Sangue; mentre con atto interiore e convinto crediamo che il Signore Gesù, nella comunione Eucaristica che tra non molto faremo, unisce la sua anima alla nostra anima, chiediamoGli la grazia di essere sempre più conformati a Lui, per continuare con umiltà e tenacia a credere nella civiltà dell’amore e ed aiutarLo a costruirla.

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