CHIESA E MODERNITA’: LA NECESSITA’ DI UN DIALOGO

  • 23/11/2019
  • Don Gabriele

CHIESA E MODERNITA’: LA NECESSITA’ DI UN DIALOGO

Cari fedeli, buona parte di tutto ciò che costituisce la nostra vita oggi in Italia, in Europa e più generalmente in Occidente, è frutto della predicazione del Vangelo. Basti pensare al “salto” che è stato compiuto rispetto alle religioni naturali, nelle quali l’uomo si doveva sacrificare per Dio. Nel cristianesimo, invece, succede esattamente il contrario: con l’Incarnazione e la Morte del Figlio, si assiste ad un ribaltamento, sicché nel Figlio, che diventa l’Agnello immolato, l’uomo è finalmente liberato dalla schiavitù di doversi sacrificare per Dio (fino al punto di offrire sacrifici umani). Noi non ne abbiamo più consapevolezza, ma la nascita del concetto di “persona” e di libertà personale trovano nel cristianesimo il loro massimo coefficiente. Fino al Medio Evo questo comune modo di sentire, che aveva dato origine alla “cristianitas”, pur con le sue contraddizioni, non era messo in discussione. Ma con il procedere dei secoli, soprattutto dopo la Riforma protestante, questa libertà si è trasformata in “soggettivismo” al punto tale che l’ “Io” è ormai la misura di tutto. Ciò trova le sue estreme odierne propaggini nella corrente filosofica destrutturalista (o strutturalista), la teoria del gender, nella quale il soggetto si decostruisce e si ricostruisce come vuole, accartocciandosi sempre di più su se stesso e tranciando gradualmente le relazioni, fino a chiudersi in una solitudine mortifera. Il soggetto, così enfatizzato, non vuole più avere a che fare con Dio (anche se poi continua a cincischiare con l’emergere del “religioso” attraverso riti scaramantici, maghi, fattucchiere, ricadendo così nelle paure religiose e nelle schiavitù precristiane. Infatti, come diceva Gilbert K. Chesterton: “Se uno non crede in Dio finisce per credere a qualsiasi cosa”). Buona parte dei nostri giovani ha emarginato Dio dal proprio orizzonte e non ne sente per nulla la mancanza. La radice sta nell’ipertrofia dell’ “Io”, a causa della quale Dio viene considerato superfluo o, in qualche caso, nemico della propria libertà. Di tutto ciò occorre avere consapevolezza. La Chiesa, in questo panorama, non può evidentemente asserire dogmaticamente le sue verità: non è più ascoltata da nessuno. E, dall’altra parte, non può lasciarsi andare al fatalismo: né una né l’altra soluzione è adeguata se si vuole continuare ad amare questa umanità, come fa il suo Sposo e Signore. La Chiesa deve fare lo sforzo di “capire” e di cercare ancora le vie del dialogo con la modernità. Sono le vie che nel Concilio Vaticano II hanno trovano un’eco profonda, raccolta poi dal magistero dei Papi che si sono succeduti, fino a Francesco. In fondo, la Chiesa si trova nelle stesse condizioni descritte dalla parola del Padre misericordioso o del Figliol prodigo. E’ stata lei, con la predicazione del Vangelo, ad aver permesso al figlio di prendersi la libertà, da essa predicata, per andarsene lontano da lei, e la Chiesa ora deve avere la pazienza di attendere che il figlio ritorni. Quale ruolo può avere oggi la Chiesa? Forse il suo ruolo consiste nell’essere quella “voce” di cui parla la parabola citata, quando dice che il figlio “rientrò in se stesso” e resosi conto della sua pessima condizione decise di tornare alla casa del padre. Pazienza, costanza, speranza sono il programma della Chiesa di oggi, e anche di quella manifestazione locale della Chiesa che è la parrocchia.

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