Omelia del parroco nella Messa per gli anniversari di matrimonio, 29 settembre 2019

  • 30/09/2019
  • Don Gabriele

Anniversari di matrimonio

29 settembre 2019

1. Celebrare l’anniversario di matrimonio. Che senso ha?

Sarebbe molto bello sentire da voi le risonanze, ma in questo momento non possiamo. Vorrei allora con molta semplicità offrivi qualche riflessione in chiave positiva. Lascio perciò perdere, in questa sede, tutte le difficoltà, anche i veri e propri attacchi al matrimonio e alla famiglia fondata sul matrimonio, anche perché la risposta non sta semplicemente nel circoscrivere questi aspetti negativi, non sta cioè semplicemente nella denuncia di questi attacchi, così come anche dell’inerzia di chi governa la cosa pubblica: la risposta è nel modo in cui si vive il matrimonio e la famiglia da cristiani. Detto in altre parole, la risposta siete voi. Si sente dire spesso ormai che il matrimonio e la famiglia non devono essere solo “oggetti” di pastorale, ma “soggetti”. Che cosa significa? Significa che il matrimonio stesso e la famiglia stessa fondata sul matrimonio – per il fatto stesso di esserci – evangelizzano, cioè annunciano il Vangelo con tutto ciò che comporta essere coniugi, essere genitori, essere figli. Sulla scorta di questa premessa, vi lascio dunque qualche breve riflessione, facendomi aiutare da alcune idee proposta dal card. Martini (cf La famiglia alla prova, Vita e Pensiero)

2. Il Signore chiama solo per rendere felici. Le possibili scelte di vita, il matrimonio e la vita consacrata, la dedizione al ministero del prete e del diacono, l’assunzione della professione come una missione possono essere un modo di vivere la vocazione cristiana se sono motivate dall’amore e non dall’egoismo, se comportano una dedizione definitiva, se il criterio e lo stile della vita quotidiana è quello del Vangelo.

La prima è quella di essere marito e moglie, papà e mamma. L’inerzia della vita con le sue frenesie e le sue noie, il logorio della convivenza, il fatto che ciascuno sia prima o poi una delusione per l’altro quando emergono e si irrigidiscono difetti e cattiverie, tutto questo finisce per far dimenticare la benedizione del volersi bene, del vivere insieme, del mettere al mondo i figli e introdurli nella vita. L’amore che ha persuaso al matrimonio non si riduce all’emozione di una stagione un po’ euforica, non è solo un’attrazione che il tempo consuma. L’amore sponsale è vocazione: nel volersi bene, marito e moglie possono riconoscere la chiamata del Signore.

Il matrimonio non è solo la decisione di un uomo e di una donna: è la grazia che attrae due persone mature, consapevoli, contente, a dare un volto definitivo alla propria libertà. Il volto di due persone che si amano rivela qualcosa del mistero di Dio. Vorrei pertanto invitare a custodire la bellezza dell’amore sponsale e a perseverare in questa vocazione: ne deriva tutta una concezione della vita che incoraggia la fedeltà, consente di sostenere le prove, le delusioni, aiuta ad attraversare le eventuali crisi senza ritenerle irrimediabili.

Chi vive il suo matrimonio come una vocazione professa la sua fede: non si tratta solo di rapporti umani che possono essere motivo di felicità o di tormento, si tratta di attraversare i giorni con la certezza della presenza del Signore, con l’umile pazienza di prendere ogni giorno la propria croce, con la fierezza di poter far fronte, per grazia di Dio, alle responsabilità. Non sempre gli impegni professionali, gli adempimenti di famiglia, le condizioni di salute, il contesto in cui si vive, aiutano a vedere con lucidità la bellezza e la grandezza di questa vocazione. È necessario reagire all’inerzia indotta dalla vita quotidiana e volere tenacemente anche momenti di libertà, di serenità, di preghiera.

Invito pertanto a pregare insieme: una preghiera semplice per ringraziare il Signore, per chiedere la sua benedizione per sé, i figli, gli amici, la comunità: qualche Ave Maria per tutte quelle attese e quelle pene che forse non si riescono neppure a dire tra i coniugi.

Invito ad aver cura di qualche data, a distinguerla con un segno, come una visita a un santuario, una messa anche in giorno feriale, una lettera per dire quelle parole che inceppano la voce: la data del matrimonio, quella del battesimo dei figli, quella di qualche lutto familiare, tanto per fare qualche esempio.

Invito a trovare il tempo per parlare l’uno all’altro con semplicità, senza trasformare ogni punto di vista in un puntiglio, ogni divergenza in un litigio: un tempo per parlare, scambiare delle idee, riconoscere gli errori e chiedersi scusa, rallegrarsi del bene compiuto, un tempo per parlare passeggiando tranquillamente la domenica pomeriggio, senza fretta. E invito a stare per qualche tempo da soli, ciascuno per conto suo: un momento di distacco può aiutare a stare insieme meglio e più volentieri.

Invito infine gli sposi ad avere fiducia nell’incidenza della loro opera educativa: troppi genitori sono scoraggiati dall’impressione di una certa impermeabilità dei loro figli, che sono capaci di pretendere molto, ma risultano refrattari a ogni interferenza nelle loro amicizie, nei loro orari, nel loro mondo. La vocazione dei genitori a educare è benedetta da Dio: perciò occorre che essi trasformino le loro apprensioni in preghiera, meditazione, confronto pacato. Educare è come seminare: il frutto non è garantito e non è immediato, ma se non si semina è certo che non ci sarà raccolto. Educare è una grazia che il Signore fa: occorre accoglierla con gratitudine e senso di responsabilità. Talora richiederà pazienza e amabile condiscendenza, talora fermezza e determinazione, talora, in una famiglia, capita anche di litigare e di andare a letto senza salutarsi: ma non bisogna perdersi d’animo, non c’è niente di irrimediabile per chi si lascia condurre dallo Spirito di Dio. Ed esorto ad affidare spesso i figli alla protezione di Maria, a non tralasciare una decina del rosario per ciascuno di loro, con fiducia e senza perdere la stima né di se stessi né dei propri figli. Educare è diventare collaboratori di Dio perché ciascuno realizzi la sua vocazione.

3. Queste semplici cose volevo dirvi in questo momento bello per voi e per tutta la comunità parrocchiale. Siete un dono prezioso semplicemente perché siete sposi e genitori. Col suo sacramento il Signore Gesù offre la garanzia del frutto. Sta a voi coltivare questo dono, vivendo anche la dimensione profetica del matrimonio e della famiglia. Il brano di vangelo che caratterizza questa domenica e che abbiamo ascoltato offre qualche preziosa indicazione: il ricco che finisce all’inferno, forse non era cattivo, ma tanto egoista da non accorgersi del povero Lazzaro. Che cosa dice questo episodio agli sposi e alla famiglia? Credo che sottolinei fortemente la dimensione dell’accoglienza e dell’apertura nei confronti delle fragilità e delle povertà che stanno attorno a noi. La grossa malattia del nostro tempo è l’individualismo, che attanaglia i singoli ma anche le famiglie, che rischiano così di chiudersi in se stesse non vivendo più alcuna partecipazione e non lasciandosi coinvolgere in nulla che non sia tornaconto. Il Vangelo odierno ci invita a superare questa chiusura, a non badare solo al benessere personale o familiare. Ci sarà infatti un giudizio e la parabola fa coincidere questo giudizio con un ribaltamento. Ho già insistito tante volte sulla necessità di riscostruire il pensiero secondo Cristo e il Vangelo. Qui ne abbiamo una prova: il ricco è nei tormenti e Lazzaro è consolato. La dimensione profetica del matrimonio e della famiglia rappresenta un contribuito di inestimabile valore che può contrastare il modo di pensare che sempre più sta prendendo piede. Lo abbiamo visto anche in questi giorni con il pronunciamento della Corte Costituzionale che apre al suicidio assistito. Siamo in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, che sarà depositata entro un mese. L’impatto però è già devastante: sotto forma di una falsa pietà si ingenera l’idea che solo una vita sana, soddisfatta e produttiva merita di essere vissuta. In fondo è la stessa filosofia del superuomo di nietzciana memoria, che ha ispirato poi i regimi disumani della razza pura. Con l’apertura al suicidio assistito quanti avvertiranno di essere di peso ai loro congiunti e alla società a causa della loro debolezza non solo fisica ma anche psichica avranno una porta aperta. La famiglia può fare molto nel contrastare questa mentalità avvolgendo le fragilità di attenzione, di cura, di affetto. Chiaramente la famiglia da sola non ce la fa. Ma non è questo il luogo per sviluppare argomentazioni più articolate. Resta il fatto che la famiglia può molto nel contrastare questa deriva. Dobbiamo dirlo forte: nessuna vita è indegna di essere vissuta; ma sarebbe opportuno dirlo anche con i fatti.

4. Tra qualche istante rinnoverete le promesse del vostro matrimonio. Poi professeremo la nostra fede e ci accosteremo all’Eucaristia. Da questa mensa ricevete la forza ogni domenica per attivare il dono di grazia insisto nel sacramento del matrimonio, affinché produca i suoi frutti migliori e la vita buona che spande sia a vantaggio di tutti.

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