Omelia te di del Parroco durante la Messa della notte di Natale
Le luci del Natale risplendono di nuovo nelle strade delle città, l’operazione Natale è in pieno svolgimento. Per un momento, anche la Chiesa vien fatta partecipe, per così dire, della congiuntura favorevole, quando gli edifici sacri si stipano di tutte quelle persone che poi, per molto tempo, passeranno ancora dinanzi alle porte di essi come davanti a qualche cosa di molto lontano ed estraneo, che non li riguarda. Ma, in questa notte, la Chiesa e il mondo sembrano per un istante riconciliati. Ed è molto bello! Le luci, l’incenso, la musica, lo sguardo delle persone che ancora credono e, infine, il misterioso, antico messaggio del Bambino che nacque molto tempo fa a Betlemme ed è chiamato il redentore del mondo: “Cristo il Salvatore, è qui!” Questa idea ci commuove.
Eppure i concetti che ora udiamo “redenzione”, “peccato”, “salvezza” suonano come parole provenienti da un mondo da tempo ormai passato; forse questo mondo era bello, ma, in ogni caso, non è più il nostro.
O lo è, invece? Il mondo in cui sorse la festa di Natale era dominato da un sentimento che è molto simile al nostro. Si trattava di un mondo in cui “il crepuscolo degli dei” non era un modo di dire, ma un fatto reale. Gli antichi dei erano di fatto diventati irreali: non esistevano più e gli uomini non potevano più credere a ciò che aveva dato fino ad allora stabilità alla loro vita. Ma l’uomo non può vivere senza un senso, ne ha bisogno come il pane quotidiano. Così, tramontati gli antichi dei, egli dovette trovare nuove luci. E le trovò nel culto della “luce invitta”, cioè della luce che non muore. Questo culto aveva al centro il sole, che nel solstizio di inverno, che cade il 21 dicembre, molto vicino al 25, celebrava il sole che gradualmente comincia a guadagnare terreno, tanto che la luce del giorno poco alla volta cresce. Le liturgia della religione del sole molto abilmente aveva assunto una paura e una speranza originarie dell’uomo. L’uomo primitivo, che un tempo avvertiva l’arrivo dell’inverno nel progressivo allungarsi delle notti dell’autunno e nel progressivo indebolirsi della forza del sole, ogni anno si chiedeva pieno di paura: ora morirà il sole dorato? Ritornerà? O sarà vinto quest’anno dalle forze malvage delle tenebre, tanto da non ritornare mai più? Sapere che ogni anno ritornava il solstizio di inverno dava in fondo la certezza della sempre nuova vittoria del sole. Quando la fede cristiana cominciò la sua corsa, dopo l’Ascensione e la Pentecoste, essa trovò nel culto del sole uno degli antagonisti più pericolosi. Ben presto i cristiani cominciarono a rivendicare per sé il 25 dicembre come giorno della vera luce invitta, quella che non muore mai: Cristo. Il sole è buono – spiegavano i cristiani – ma esso non possiede in se stesso la forza; esso può esistere solo perché Dio lo ha creato. Ma c’è una cosa più importante, spiegavano sempre i cristiani. Cioè: non vi siete accorti che esistono un’oscurità e un freddo al riguardo dei quali il sole è impotente? Sono quell’oscurità e quel freddo che provengono dal cuore ottenebrato dell’uomo: odio, ingiustizia, cinica impugnazione della verità, crudeltà e degrado della persona umana…. A questo punto ci accorgiamo d’improvviso quanto tutto questo è attuale e sentiamo come il dialogo dei primi cristiani con gli adoratori del sole è come il dialogo del credente di oggi con il suo fratello incredulo. Certo la paura del sole che un giorno potrebbe scomparire è stata superata dalla fisica. Questa paura certamente è scomparsa. Ma si può dire che la paura in sé sia scomparsa dai nostri giorni? La storia di queste ultime settimane, anzi di questi ultimi anni ci dice proprio il contrario. Quale periodo della storia dell’umanità ha più del nostro sperimentato un’angoscia maggiore rispetto al proprio futuro? Forse l’uomo di oggi si accanisce così tanto sul presente perché non riesce a guardare in faccia il proprio futuro! In altre parole, non abbiamo più paura che il sole possa essere vinto dalle tenebre e non torni più. Ma abbiamo paura del buio, della cattiveria e della pazzia che proviene dagli uomini. Solo così abbiamo scoperto il vero buio e nel secolo scorso così come nei primi quindici anni del secolo in corso, lo avvertiamo – questo buio – più spaventoso di quanto poterono pensare le generazioni che ci hanno preceduto. Abbiam paura soprattutto che il bene nel mondo divenga impotente, che a poco a poco non abbia più senso cimentarsi con la verità, la purezza, la giustizia, l’amore perché ormai nel mondo vige la legge della violenza irrazionale, dell’odio senza quartiere, del farsi spazio a forza di gomitate, della brutalità, della superficialità, del disimpegno. Vediamo infatti dominare nel mondo il denaro, il terrorismo, le armi, il cinismo di coloro per i quali non esiste più nulla di sacro, il triste incedere di famiglie, che avendo abbandonato la logica del dono e del sacrificio, si sfasciano, si ricostruiscono: una, due, tre volte, a prezzo di sofferenze prima sotterranee e più tardi dirompenti dei figli, il vuoto vagare di adolescenti e giovani che non sanno più a che cosa attaccarsi se non alle loro voglie … Sovente ci sorprendiamo in preda al timore che alla fine non vi sia alcun senso nel caotico corso di questo mondo. Regna la sensazione che le forze oscure aumentino, che il bene sia impotente. Guardando il mondo, siamo presi all’incirca da quel sentimento che un tempo gli uomini dovettero provare quando, in autunno e in inverno, il sole sembrava combattere la sua battaglia decisa. Ce la farà il sole a vincere? Il bene conserverà la sua forza nel mondo? Nella stalla di Betlemme ci è offerto il segno che ci fa rispondere lieti: Sì! Infatti questo Bambino è posto a garanzia che nella storia del mondo, l’ultima parola spetta a Dio, a lui che è la verità e l’amore. Questo è il vero senso del Natale: è il giorno della nascita della “luce invitta”, il solstizio d’inverno della storia del mondo, che ci dà la certezza che nell’andamento altalenante di questa storia, la luce non morirà, ma ha già in mano la vittoria finale. Il Natale allontana da noi la seconda e più grande paura, che nessuna scienza fisica può fugare, la paura per l’uomo di fronte a se stesso. E’ una certezza divina, per noi, che la luce ha già vinto nella segreta profondità della storia e che tutti i progressi del male nel mondo, per grandi che essi siano, non possono più assolutamente cambiare le cose. Il solstizio d’inverno della storia è irrevocabilmente accaduto con la nascita di questo Bambino.
Ma c’è ancora un’inquietudine che ci potrebbe assalire: il fatto grande di cui parliamo è davvero lì nella stalla di Betlemme? Se il sole è così bello, grande, spendente, il suo Creatore non dovrebbe manifestarsi con una grandezza e uno splendore superiori? Come è povero, invece, tutto ciò di cui ci parla il Vangelo!
Ma non è magari proprio questa povertà, questa che il mondo giudica insignificanza, il segno con cui il Creatore manifesta la sua presenza? A prima vista sembra un’idea inconcepibile. Eppure chi approfondisce il mistero, capisce sempre più chiaramente che esiste un duplice segno di Dio. Vi è innanzi tutto il segno della creazione, che attraverso la sua grandezza e la sua gloria, ci fa presentire colui che è ancora più grande e magnifico. Ma, accanto a questo segno, emerge con forza sempre maggiore l’altro, il segno costituito da ciò che è insignificante per il mondo, con cui Dio si manifesta come il “totalmente Altro” di fronte a tutto il mondo. E questo segno è l’umiltà. Sì, Dio è umile. In Cristo Egli manifesta un nuovo tipo di grandezza che Egli ritiene adatto a sé; essa consiste nell’umiltà, nell’amore, nella croce, nei valori del nascondimento e del silenzio, che Gesù eleva a grandezza suprema del mondo. La vera grandezza non risiede in definitiva nella grandezza delle dimensioni della natura fisica, ma in ciò che non è più misurabile da esse. Ciò che nel mondo è grande, ciò da cui dipende in modo decisivo il suo destino e la sua storia, è quello che appare piccolo ai nostri occhi. A Betlemme Dio ha definitivamente posto il segno della piccolezza come segno decisivo della sua presenza in questo mondo. Questa è la decisione della Notte Santa: la FEDE! La decisione di accoglierlo in questo segno e di fidarci di lui senza mormorare. Accoglierlo, cioè porre se stessi sotto questo segno, sotto la verità e l’amore, che sono i valori più alti e più simili a Dio e, al tempo stesso, i più dimenticati e i più silenziosi.
In questi giorni trovate qualche momento per contemplare nel presepio questa piccolezza, questo segno di Dio, per abituarvi ad esso e per riviverlo in voi.
La divina Eucaristia alla quale fra un po’ ci accosteremo ripropone la stessa realtà: nella pochezza del pane, trasformato dallo Spirito, nel corpo del Risorto, noi siamo nutriti dalla verità e dall’amore. Che sia così il nostro Natale. Solo così, attraverso questa povertà, in questa notte, il nostro cuore può essere colmo della vera letizia, perché malgrado tutte le apparenze, è e rimane vero che Cristo, il Salvatore, è qui.
Buon Natale, cari, buon Natale a tutti!
(ispirata ad una riflessione sul Natale di J. Ratzinger)