Omelia del parroco nella Messa della Cena del Signore 18 aprile 2019

  • 20/04/2019
  • Don Gabriele

Cari fratelli e sorelle,

sono due gli avvenimenti che strutturano la liturgia di questo primo momento del Triduo Pasquale: l’ultima cena di Cristo coi suoi discepoli e il tradimento di Giuda.

Come qualcuno ha notato, l’uno e l’altro trovano il loro senso nell’amore.

Infatti, l’Ultima Cena è la definitiva rivelazione dell’amore di Dio per l’uomo, anzi dell’amore in quanto essenza stessa della salvezza.

E il tradimento di Giuda mostra che il peccato, la morte e la distruzione di se stessi vengono anch’essi dall’amore quando però è sfigurato e distorto, diretto cioè a ciò che non merita di essere amato.

Questo è il mistero di questa Liturgia; impregnata allo stesso tempo sia di luce che di tenebra, di gioia e di dolore. Essa ci mette davanti ad una scelta decisiva da cui dipende il destino eterno di ciascuno di noi.

1. Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (Gv 13,1).

Per comprendere veramente l’ultima Cena bisogna vedere in essa il termine del grande movimento dell’amore divino, cominciato con la creazione del mondo, e che ora si consuma nella morte e risurrezione di Cristo.

Dio è amore (1 Gv 4,8). Il primo dono dell’amore è stato la vita. E la vita ci è stata data affinché potessimo vivere in una comunione d’amore con Dio. Sì, siamo stati fatti per questa comunione, che era gioia purissima, descritta nel libro della Genesi con un genere letterario colmo di immagini meravigliose: il giardino terrestre, il paradiso, l’uomo e la donna dati l’uno all’altra nella perfetta reciprocità e nell’estasi dell’amore, la relazione con Dio descritta come un suo “passeggiare con l’uomo” nel giardino dell’Eden alla brezza della sera. Sono immagini che restituiscono ciò che possono, ciò che propriamente non si può esprimere, ma che è la verità sulla nostra origine e il nostro rapporto con Dio. L’uomo e la donna dalla creazione di Dio ricevevano il loro nutrimento e, trasformandolo nel loro corpo e nella loro vita, lo trasformavano di perciò stesso in vita con Dio e in Dio. L’amore di Dio aveva dato vita all’uomo e l’amore dell’uomo per Dio trasformava questa vita in comunione con lui. In questo Paradiso la vita dell’uomo era veramente eucaristica, cioè un rendimento di grazie, era gratitudine.

2. Ma con il peccato l’uomo ha perduto questa vita eucaristica, perché ha cessato di considerare il mondo come un mezzo di comunione con Dio e la vita come adorazione e rendimento di grazie.

L’uomo, infatti, ha cominciato a mettere al centro se stesso e le sue voglie e ha cominciato a guardare al mondo unicamente come ad una realtà che lo potesse soddisfare. Dirà S. Agostino: “E io, brutto, mi gettavo sulle belle sembianze delle tue creature (…) inesistenti se non esistessero in te” (Confessioni). E così il mondo e le sue creature, privati dalla loro verità di essere mezzi per vivere la comunione con Dio, non hanno più potuto soddisfare alcuna fame in quanto, privati dal loro legame con Dio, non hanno vita in se stessi. E così è venuta la morte, che è l’inevitabile “decomposizione” della vita tagliata dalla sua unica fonte, cioè Dio. L’uomo trova la morte là dove pensava di trovare la vita.

3. Se l’uomo ha tradito, Dio però rimane fedele. In Cristo, Dio ha assunto su di sé la nostra natura con la sua fame e la sua sete e con il suo desiderio per la vita e il suo amore per essa. In Gesù la vita è diventata una perfetta eucaristia. Cristo ha rigettato la tentazione dell’uomo di vivere “solo di pane” e ha rivelato che sono Dio e il suo regno il vero cibo, la vera vita dell’uomo. E di questa perfetta vita eucaristica, riempita di Dio, Cristo ne ha fatto dono a tutti coloro che credono in lui.

Questo è il significato straordinario dell’ultima Cena. Cristo si è offerto come vero cibo dell’uomo, perché la vita manifestata in lui è la vera vita. Così il movimento di amore iniziato in paradiso con le parole di Dio: “Prendete e mangiate” i frutti della creazione (perché per vivere l’uomo si deve nutrire) raggiunge la sua pienezza con il “Prendete e mangiate” di Cristo (perché Dio è la vita dell’uomo). L’ultima Cena ricrea – se lo vogliamo – il paradiso, restaura la vita in quanto eucaristia – cioè rendimento di grazie – e comunione.

4. Quest’ora di amore estremo è anche quella dell’estremo tradimento. Giuda lascia la luce del Cenacolo, la “camera alta” per immergersi nella notte. Era notte (Gv 13,30) ci ha detto il testo di Giovanni appena letto.

Perché Giuda se ne va? Perché egli ama – risponde il Vangelo. E anche il suo è un amore fatale. Importa poco, infatti, che questo amore riguardi il denaro. Qui il denaro è simbolo di ogni amore pervertito e distorto, che conduce l’uomo a tradire Dio. E’ un amore rubato a Dio, e Giuda è dunque il ladro.

L’uomo, quando non ama Dio e in Dio, non finisce con ciò di amare e di desiderare, perché è stato creato per l’amore, e l’amore è la sua stessa natura; ma si tratta ora di una passione cieca e autodistruttrice, e la morte ne è la conclusione. Ogni anno, quando ci immergiamo nella luce e nelle profondità insondabili di questo Giovedì santo, ci è posta la stessa questione cruciale: Rispondo all’amore di Cristo e lo accetto come mia vita, oppure seguo Giuda nel buio della sua notte? (Cf Alexander Schmemann – Olivier Clément Il mistero pasquale, Lipa, pp. 22-26).

5. La domanda che ci pone dinanzi il Giovedì santo è dunque questa: a quale amore ho consacrato io la mia vita?

Se accolgo il Prendete e mangiate di Cristo, riscopro la vita come rendimento di grazie, come comunione. La vivo cioè nella dimensione della sua vera fecondità, perché non vivo più per me stesso. Ed è in questo tirocinio del non vivere più per se stessi, che si cammina verso quella autentica “adultità” che dona al mondo personalità robuste e armoniche, serene e affidabili.

Se vivo per me stesso, sono un ladro, come Giuda, “rubo la vita” e resto nella condizione di immaturità tipica di chi gira attorno a se stesso. Quante forme di immaturità di sono oggi! Si direbbe che il grosso problema delle nostre società e delle nostre famiglie stia proprio in questo. Lo sforzo a cui una comunità parrocchiale si deve dedicare senza riserve è senz’altro quella di accompagnare ragazzi, adolescenti, giovani ed adulti a intraprendere un cammino verso questa “adultità”, che trova nella formazione alla fede con ogni possibile impegno e nel servizio, soprattutto nella restituzione verso i più giovani del bene che è stato fatto a noi, senza fughe egoistiche, due piste insostituibili.

Ci aiuti questa notte di luce e di tenebra a dare a Cristo la risposta che egli attende da ciascuno di noi. Amen

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