“IL MINIMO SINDACALE”

  • 01/02/2019
  • Don Gabriele

“IL MINIMO SINDACALE”

Tranquilli, cari fedeli, non intendo fare il sindacalista. Quella del titolo è un’espressione che ho usato recentemente per ricordare che per il discepolo di Gesù, per il cristiano, partecipare alla Messa della domenica è il “minimo” che si richiede. Sento già le obiezioni: “Quelli che vanno a Messa la domenica sono peggio degli altri”; “Si può fare il bene anche senza andare a Messa la domenica” e via dicendo. Il punto non è questo. Chi formula queste obiezioni fa scivolare il discorso sull’aspetto morale. E dimostra di aver capito poco del Vangelo perché lo riduce ad un “codice di leggi”. Dicevo qualche domenica fa nell’omelia che una delle difficoltà più grandi nell’educare alla fede consiste proprio nello sforzo di rimuovere la cattiva idea che ci siamo fatti di Dio. Molti, infatti, quando si parla di Dio, pensano subito che sia un Essere che pone dei divieti: non fare questo, non fare quello etc.. Detto in altri termini, si scambia Dio con la “norma morale”. Perciò da questo Dio si scappa. Buona parte della gente che non frequenta la Messa la domenica ed è totalmente dimentica della necessità della propria maturazione spirituale giace in questo equivoco. Ma Dio non deve essere confuso con la “norma morale” e neppure con la propria coscienza. Dio parla sì anche alla coscienza, ma non è la coscienza. E’ una Persona. Il nostro Dio cerca la relazione: per questo si è incarnato e si è fatto uomo in Gesù, per favorire questo incontro, questa relazione. E questa relazione la si vive nella fede che è il mio “sì” che dico a Lui, accogliendolo nella mia vita e accettando il cammino di graduale conformazione a Lui. Questo cammino, però, non lo costruisco io: se non entro nella sua obbedienza, nel percorso che è stato il suo, io non maturo, cioè resto acerbo, come un frutto che non sprigiona tutto il suo sapore finché resta così. La partecipazione alla Messa della domenica segna il punto convergente di questo percorso perché essa – la Messa – rinnova e rende disponibile il “succo” – per esprimerci in questo modo improprio, ma forse comprensibile – della vita di Gesù: il suo dono per me e per te, ossia l’offerta della vita nella croce (amore sconfinato) e nella risurrezione (amore che raggiunge la sua efficacia). Nutrendomi dell’Eucaristia ogni domenica io accetto che sia Gesù a stabilire un ritmo di graduale conformazione a Lui, alla sua santa e bella umanità, che immette nel mondo non solo vita buona ma anche vita eterna. Vivere la Messa con i sentimenti di Gesù mi trasforma. La Messa è allora il punto di arrivo e di partenza, per un nuovo arrivo e una nuova partenza. Si può fare il bene senza andare a Messa? Certamente! Si può far parte di un gruppo della parrocchia, per esempio della Caritas, dei catechisti, dei lettori etc. senza accettare che sia la Messa domenicale il punto di convergenza come ho detto sopra? No, perché per principio si esclude la conformazione a Cristo, cioè si decide di fare un altro cammino rispetto a quello che ha stabilito Lui. I gruppi della parrocchia, soprattutto quelli “istituzionali”, come per esempio la Caritas, non fanno cammini autonomi. Si può accettare la gradualità ma non si può accettare il rifiuto. Quando il parroco, in un incontro pubblico, in forza della sua responsabilità e della carità pastorale sollecita a questi gruppi il “minimo sindacale”, cioè la partecipazione alla Messa domenicale, senza fare il nome di nessuno, e qualcuno se ne va, rifiutando per principio di accettare questo “minimo sindacale”, significa che non ci siamo proprio. E quanti eventualmente hanno dato ragione a chi se ne è andato è necessario che facciano un severo esame di coscienza. La Chiesa non è l’allegra brigata dove si fa quello che si vuole o quello che mi piace. L’ha ricordato il Papa l’altro giorno a Panama, parlando ai giovani, asserendo che non si costruisce una “Chiesa parallela” o una “Chiesa più cool (cioè alla moda, di tendenza)”.

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