Omelia del Parroco al Carmelo di Lodi durante l'Ufficio delle Letture nella vigilia della solennità di Santa Teresa di Gesù, 14 ottobre 2024

  • 14/10/2024
  • Don Gabriele

Voglio meditare brevemente con voi, in questa vigilia della solennità di Santa Teresa, su un tema che non interessa più a nessuno, neppure nella Chiesa, o almeno interessa a pochi. E questo tema è la verità. Parafrasando S. Girolamo che disse: “Ignorantia Scripturarum ignorantia Christi est”, potremmo dire sulla base del Vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato: “Ignorantia Veritatis ignorantia Christi est”.

Nello scritto sulla sua vita (V. 40), S. Teresa, dice così: “Compresi cosa significa per un’anima camminare nella verità… mentre stavo recitando le Ore, l’anima mia si sentì improvvisamente raccolta e mi parve che fosse come uno specchio luminoso in ogni parte, senza che nulla, né dietro né ai lati né in alto né in basso, cessasse mai di risplendere. Al suo centro mi apparve nostro Signore Gesù Cristo, come lo vedevo di solito. Mi sembrava riflesso in ogni parte della mia anima così chiaramente come in uno specchio, e a sua volta lo specchio – io non so come – si rifletteva tutto nel Signore stesso, per una comunicazione altamente amorosa che non so riferire”.

Il senso della verità rappresentava una delle dimensioni che animava Teresa di Gesù. Lo scetticismo è abbastanza di moda, salvo poi prestare fede ai programmi che promettono miracoli nel dimagrire o nell’accrescere la massa muscolare. La verità non interessa molto: i problemi sì, la verità no. E poi, secondo la domanda che Pilato pose a Gesù: Quid est veritas? Che cosa rende la verità, che cosa significa? C'è una sfiducia disperata nel cuore moderno a proposito della verità. A quest'uomo anche cristiano che affoga nel dubbio, nell'incertezza, nel problematicismo, ma anche nell’esoterismo, nella superstizione, S. Teresa grida che la verità c'è, che la verità è viva, e che la vita deve essere un camminare nella verità. È una delle sue espressioni: “camminare nella verità”. E badiamo che mentre la Santa appare una innamorata della verità, ha scritto cose sulla verità che sono tra le più sublimi scritte dagli uomini. Non ha, di fronte alla verità, l'atteggiamento superbo dell'inquisitore, del conquistatore, ma l'atteggiamento umile di chi la riceve in dono. Tanto è vero che la sua espressione -camminare nella verità - è proprio la sua definizione dell'umiltà: l’umiltà è camminare nella verità. È forse qui il segreto del messaggio teresiano all'uomo d'oggi: ricordargli che tutto lo scetticismo intorno alla verità nasce dall'essere davanti alla verità non degli umili che l'accolgono, ma dei superbi che la giudicano. Ma la verità, essendo Dio, non accetta i giudizi delle creature. La verità non serve al nominalismo delle dottrine, non serve alla moda delle problematiche anche ecclesiali, non serve alle strumentalizzazioni, soprattutto di parte culturale. La verità deve essere servita. È dono di cui abbiamo bisogno per essere vivi. La si cerca con umiltà, la si custodisce con fedeltà, soprattutto la si desidera con amore. È l'atteggiamento di S. Teresa. Tutta la vita ella è andata cercando la verità; quando ne scopriva un frammento era felice, e quando ne era inondata dal carisma supremo ne diventava estatica. La verità era la cosa che la stupiva di più, era la cosa che la colmava di meraviglia. Per lei la verità era Qualcuno: il suo Signore, il suo Dio: “O verità, o verità...!”. Quante volte nelle sue esclamazioni si leggono queste parole! Forse dal Paradiso la Santa ha pochi desideri così grandi e intimi per noi, come quello che anche la nostra vita si innamori della verità, della Verità che è Dio.

Questa verità la si attinge soprattutto nella preghiera. Ricordiamo l’esclamazione di S. Agostino: “O verità, lume del mio cuore, non vorrei che fossero le mie tenebre a parlarmi”. Infatti la comunicazione di Dio che è verità avviene nell’amore. Lo dice S. Bonaventura nell’opuscolo Itinerario della mente a Dio: “Se poi vuoi sapere come avvenga tutto ciò, interroga la grazia, non la scienza, il desiderio non l'intelletto, il sospiro della preghiera non la brama del leggere, lo sposo non il maestro, Dio non l'uomo, la caligine non la chiarezza, non la luce ma il fuoco che infiamma tutto l'essere e lo inabissa in Dio con la sua soavissima unzione e con gli affetti più ardenti”.

Così comprendiamo che la ricerca della verità e la verità stessa non è qualcosa di algido, di gelido, ma ha le caratteristiche stesse dell’amore. Noi siamo un po’ tutti positivisti e questa corrente ottocentesca si è talmente insinuata nei nostri processi mentali al punto che ne dipendiamo, con il risultato di non cogliere più l’armonia e il calore dell’essere. A tal proposito, in uno dei suoi discorsi, papa Benedetto si espresse così: “Arte di credere, arte di pregare”. Mi è venuto in mente il fatto che i teologi medievali hanno tradotto la parola “logos” non solo con “verbum”, ma anche con “ars”: “verbum” e “ars” sono intercambiabili. Solo nelle due insieme appare, per i teologi medievali, tutto il significato della parola “logos”. Il “Logos” non è solo una ragione matematica: il “Logos” ha un cuore, il “Logos” è anche amore. La verità è bella, verità e bellezza vanno insieme: la bellezza è il sigillo della verità…E sembra quasi che il maligno voglia permanentemente sporcare la creazione, per contraddire Dio e per rendere irriconoscibile la sua verità e la sua bellezza. In un mondo così marcato anche dal male, il “Logos”, la Bellezza eterna e l’“Ars” eterna, deve apparire come “caput cruentatum”. Il Figlio incarnato, il “Logos” incarnato, è coronato con una corona di spine; e tuttavia proprio così, in questa figura sofferente del Figlio di Dio, cominciamo a vedere la bellezza più profonda del nostro Creatore e Redentore; possiamo, nel silenzio della “notte oscura”, ascoltare tuttavia la Parola. Credere non è altro che, nell’oscurità del mondo, toccare la mano di Dio e così, nel silenzio, ascoltare la Parola, vedere l’Amore”.

Che Teresa di Gesù, madre e amica nostra interceda per noi l’esperienza della verità, come l’ha vissuta lei, con quella capacità cioè di spaziare nelle Scritture, nel cuore e nell’esperienza umana, trovando in Cristo la verità che ci afferra, a partire dalla quale sgorga il senso compiuto di Dio, del mondo, della Chiesa, della nostra vocazione, del nostro essere destinati ad essere semplicemente “sopraffatti dalla gioia”. Amen!

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